Africa, Europa e un po’ di storia delle relazioni geopolitiche

, di Harjeet Singh, Sweety Kumari , Trad. di Stefania Ledda

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Africa, Europa e un po' di storia delle relazioni geopolitiche
Fonte: Zz1y, giornale L’Illustration, Wikimedia Commons - https://eu.m.wikipedia.org/wiki/Fitxategi:IMGCDB82_-_Caricatura_sobre_conferencia_de_Berl%C3%ADn,_1885.jpg Vignetta sulla Conferenza di Berlino, 1883.

Una volta l’Europa considerava il continente africano come l’antitesi della civilizzazione, etichettandolo generalmente come “Cuore di tenebra” nel titolo dell’opera del romanziere Joseph Conrad. Il travolgente inserimento del continente africano nella diaspora internazionale degli ultimi tempi ricorda lo sfruttamento esercitato durante l’epoca delle colonizzazioni, quando lo stabilirsi delle politiche e della garanzia degli interessi erano stati portati a termine con le canne dei fucili. Oggi l’evoluzione ha sostituito l’artiglieria e i cannoni con strumenti dell’epoca moderna, incluse norme, sanzioni e investimenti strategici.

La globalizzazione ha rimpiazzato i vecchi ordini mondiali, contribuendo a una maggiore inclusività tra gli Stati, allentando le politiche d’immigrazione e i programmi di scambio allo scopo di incoraggiare l’interesse del mondo sviluppato. Nel 2010, durante il 20° Forum economico mondiale sull’Africa è stato discusso di come l’Africa sia stata privata di 200 miliardi di dollari all’anno a causa di attori europei privati che sfruttavano le falle delle leggi sulla tassazione, negando una giusta fetta ai governi africani.

Grazie all’onorifico tentativo del popolo nativo, il destino dell’Africa venne riscritto e quello di una nuova Africa promessa venne modellato dal movimento di decolonizzazione. Vari leader, tra cui Julius Neyer in Tanzania, sostenevano l’adozione di un’economia socialista e promuovevano la diffusione dell’ “ujamaa”, ossia un’economia di cooperazione gestita da e tra persone che si aiutano l’una con l’altra per soddisfare i bisogni primari di una popolazione che i colonizzatori avevano soggiogato. Vicino al Canale di Suez il pan-nazionalismo africano scoppiò dopo che Gamal Abdel Nasser ebbe rovesciato il governo pro-Occidente della dinastia di Muhammad Ali in Egitto, orientando la posizione del continente africano verso il sostegno al NAM, il Movimento di Non Allineamento, durante la Conferenza di Bandung sostenuta dall’India.

La lotta per l’egemonia sulle risorse del continente convertirono quest’ultimo in una zona calda di guerre per procura e distinzioni tribali, e la segragazione religiosa fomentò la prolungata violenza che inghiottì milioni di giovani, esaurì le risorse e danneggiò le infrastrutture. Una proporzione significativa di queste fazioni in guerra, che si identificava con uno degli schieramenti che dividevano il mondo in due blocchi durante la Guerra Fredda, incluse la Rhodesia e il regime di apartheid del Sud Africa, ottenne grande supporto in Occidente, mentre i gruppi ribelli spesso giuravano fedeltà all’Unione Sovietica e alla Repubblica Popolare Cinese.

La proclamazione dell’ex Primo Ministro Harold Macmillan nel suo discorso “Aria di Cambiamento”, che riconosceva i diritti degli auto-determinati africani contro il regime di apartheid dei primi anni ‘60, è emersa nuovamente con l’ascesa della Cina nel 21° secolo, ponendo l’interrogativo sulla possibilità che il destino dell’Africa venisse di nuovo ostacolato dalla lotta degli obiettivi geopolitici delle nuove grandi potenze: gli Stati Uniti d’America e la Cina.

La geopolitica dell’Africa

Per la maggior parte della storia, il mondo esterno non ha avuto interesse per l’Africa. In seguito, un Paese ne colse le opportunità e una nuova corsa per l’Africa ebbe inizio in un modo non molto diverso dal balzo compiuto nel XIX secolo dalle potenze coloniali di Gran Bretagna e Francia, interessate com’erano ai popoli nativi per ottenere materiale grezzo, schiavi ed esercitare la propria influenza geopolitica. In questo 21° secolo, le potenze globali stanno più o meno guidando la stessa corsa. Cina, Stati Uniti d’America, Canada, Israele, Giappone e Unione Europea sono tutti in competizione per l’Africa e il Paese che ne è chiaramente il vincitore è niente di meno che la Cina.

L’Africa è un continente formato da 54 Stati sovrani, costituisce il 17% della popolazione mondiale, fornisce il 9,6% della produzione globale di petrolio, il 90% del rifornimento mondiale di platino, il 90% delle scorte globali di cobalto, due terzi del manganese nel mondo, un quarto della produzione globale di oro, il 35% dell’uranio sul pianeta, l’80% del coltan mondiale e ha diritto a 54 voti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questo è ciò che rende il continente africano così allettante, trasformandolo nel campo di battaglia delle potenze mondiali.

Esistono numerosi fronti al riguardo: investimenti, potere militare, diplomazia, soft power, commercio e geopolitica. Ogni Paese ha propri interessi in Africa. Nel 2016 Israele cominciò la propria corsa per il continente quando Benjamin Netanyahu diventò il primo Primo Ministro israeliano a visitare l’Africa in 50 anni di storia, con l’obiettivo di assicurarsi voti a favore di Israele e contro la Palestina durante le sessioni di voto delle risoluzioni delle Nazioni Unite. In cambio, Israele finanziava tecnologie a pannelli solari per la coltivazione in Africa. Ma nello stesso anno, nel 2016, il Senegal supportò una risoluzione ONU che condannava la costruzione di insediamenti ebrei illegali nella West Bank. Così, quando gli obiettivi di Israele non furono raggiunti come previsto, esso cancellò il progetto di irrigazione a goccia di MASHAV, e questo è solo un esempio.

L’Unione Europea ha promesso più di 30 miliardi di euro in investimenti sostenibili per l’Africa, in modo da avere accesso al mercato africano composto da 1.3 miliardi di persone. Bruxelles ha negoziato gli accordi di libero commercio con almeno 40 Paesi africani, ma questo garantisce davvero uno scambio equo uno a uno? Io non credo.

La così prolungata violenza inghiottì l’intero continente fino a registrare uno sforzo di intervento minore da parte dell’Occidente, finendo per alimentare nella regione africana sentimenti anti-occidentali, a vantaggio della Cina. Quest’ultima sta finanziando uno dei cinque progetti infrastrutturali in corso in Africa e sta realizzando un terzo di questi. Inoltre, se l’Africa ha un deficit infrastrutturale, la Cina ha un libretto degli assegni già firmato, concedendo prestiti a interessi zero e fornendo aiuti in quantità considerevoli, tanto da determinare un positivo sviluppo dei rapporti sino-africani, come dichiarato nel 2006 dal primo documento accademico sulle politiche governanti la relazione tra Cina e Africa. Inoltre, la Cina ha investito 23 miliardi di dollari in Africa e costruito 6.200 chilometri di ferrovie, inclusa la linea ferroviaria più lunga del continente che collega l’Etiopia al Gibuti. Pechino ha anche costruito le sedi dell’Unione Africana ad Addis Abeba. Gran parte della sua influenza geopolitica inizia a essere venduta dalla Cina stessa attraverso la sua cultura e la valuta: in Guinea-Bissau i cartelli stradali indicanti le uscite sono scritti in cinese mandarino.

La Cina ha creato almeno 50 Istituti Confucio in 33 Paesi e parecchi Paesi africani usano la valuta cinese. Nel 2017 la Cina ha costruito la sua base d’oltremare nel Corno d’Africa, a Gibuti, il che ha permesso a Pechino di mantenere un posizione di osservazione sul Canale di Suez. Secondo uno studio di McKinsey, la base ha la capacità di ospitare 10.000 truppe e costituisce il più grande partner commerciale di un minimo di 10.000 imprese cinesi attive in Africa. L’Africa ha le risorse ma la Cina ha il denaro e il modo di accedere allo sfruttamento di tali risorse.

Tuttavia, la Cina non è l’unico Paese che sta investendo su questo continente e non è nemmeno il più grande investitore. Gli Stati Uniti d’America sono il più grande Paese a investire in Africa, rappresentando circa 54 miliardi di dollari in investimenti stranieri diretti (FDI) e 600 società americane sono attive nel solo Sud Africa. Per molto tempo, l’Africa è stata come una zona di guerra per Washington, il quale ha più di 7.000 truppe dislocate sul continente, sparse in circa 13 Stati africani inclusi il Burkina Faso, il Camerun, il Chad, la Repubblica Democratica del Congo, il Kenya, la Libia, il Mali, la Mauritania, il Niger, il Sudan del Sud, la Somalia, la Repubblica Centrafricana e la Tunisia. Per l’America, l’Africa era un continente dove effettuare operazioni anti-terrorismo. Adesso l’Africa costituisce per gli Stati Uniti un nuovo fronte dove e per il quale competere con la Cina. Washington sta combattendo per il potere e l’influenza politica.

India e Africa: un destino comune

Se si va indietro nella storia, si scopre che il continente africano è legato all’India da diversi punti di vista. Prima che gli olandesi si stabilissero nel 1852 nella Colonia del Capo di Buona Speranza, i commercianti indiani erano molto presenti sulla costa orientale del Sud Africa. La storia più recente del XIX e del XX secolo è quella in cui sia l’India che l’Africa hanno subito esperienze di colonizzazione, pregiudizio razziale e sfruttamento economico similarmente dolorose e difficili.

Avendo vissuto discriminazioni simili, l’India guardava alla lotta dell’Africa per la libertà come a un riflesso della propria lotta per la libertà. L’indipendenza dell’India dal potente Impero britannico ispirò i capi africani ad affrontare le loro lotte nello stesso modo in cui oggi lo sviluppo dell’India sotto un’ampia diffusione democratica e la sua adesione al G20 incoraggia l’Africa.

Si forgiarono così stretti legami tra costruttori di un’India moderna e capi di un’Africa che tentava di liberarsi dal giogo del colonialismo. Comunque sia, le relazioni diplomatiche tra India e Nigeria, Ghana e Madagascar esistevano sin da prima della loro indipendenza: l’India fu in prima linea per la convocazione della Conferenza afroasiatica di Bandung del 1955.

Inoltre, anche l’India sollevò la questione del razzismo nel Sud Africa e non sarebbe giusto dire che il nuovo interesse dell’India non avesse nulla a che fare con la Cina. Nel 2018 il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, visitò gli Stati africani più importanti poco prima del viaggio fatto dal Presidente cinese Xi Jinping; sempre nel 2018, l’India decise di aprire 18 nuove ambasciate in Africa. Il governo indiano ha anche accordi di difesa militare con lo Zambia, la Nigeria, il Ghana, l’Etiopia, il Botswana, l’Uganda, il Mozambico e la Namibia; non solo, Nuova Delhi sta attualmente formando i militari africani. La società indiana Airtel è un’impresa Telecom di rilievo in Africa e Nuova Delhi sta anche offrendo 50.000 borse di studio agli studenti locali. Comunque sia, nonostante tutto, l’India è molto più indietro rispetto alla Cina nella corsa per l’Africa.

Non solo nel XIX secolo, l’Africa è stata colonizzata con la forza anche nel 2022: è intrappolata dai prestiti. La Cina rappresenta il 14% del debito subsahariano in Kenya e la quantità dei prestiti cinesi è sei volte quello della Francia, che è il secondo più grande creditore dell’Africa. E lo Sri Lanka sa benissimo che cosa succede se i prestiti dalla Cina non vengono restituiti. Insomma, la Cina non vede l’ora di prendere l’Africa: ha una forte diaspora, spende moltissimo denaro e sta vendendo film, cultura e valuta.

Nel XIX secolo, la rivalità tra Regno Unito e Francia alimentava l’opera di colonizzazione africana. Nel XXI secolo, la guerra commerciale tra gli Stati Uniti d’America e la Cina sta accelerando lo stesso processo: come nel XIX secolo, oggi ci sono numerosi Paesi che partecipano a questa corsa ma, così come allora, all’Africa non resterà nulla.

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