Un programma di governo per l’Europa

, di Chiara Cipolletta

Un programma di governo per l'Europa

Il 6-7 giugno 2009 si voterà per il rinnovo del Parlamento Europeo, elezione che dal 1979 avviene a suffragio universale diretto, unico caso al mondo di parlamento sovranazionale legittimato democraticamente.

Le numerose iniziative lanciate in vista di queste elezioni, soprattutto in ambienti europeisti e federalisti, sono volte innanzitutto a rendere il dibattito pre-elettorale un’occasione per discutere di temi “realmente europei”, vale a dire per fare in modo che queste elezioni non siano una replica di quelle politiche e amministrative nazionali, in termini di temi trattati. La motivazione risiede in una considerazione molto semplice: la recente crisi, in quanto globale, mostra chiaramente la necessità di trattare alcuni temi chiave a livello sovranazionale, di fronte alla totale inefficacia da parte degli Stati nazionali di gestirli.

E’ bene sottolineare che tale inefficacia non è da intendersi come incapacità degli stati di fare politica ma deve piuttosto interpretarsi come un limite naturale ad affrontare tematiche che, derivando direttamente dal processo di globalizzazione, hanno cause ed implicazioni che travalicano i confini nazionali e che solo prescindendo da tali confini possono essere innanzitutto comprese e poi adeguatamente gestite.

La stessa logica “europea” è quella che dovrà essere adottata dal Parlamento eletto se vorrà essere incisivo nella trattazione delle sfide cui si trova di fronte l’Europa. Negli ultimi mesi infatti la crisi economico-finanziaria, il surriscaldamento del pianeta e la protezione dell’ambiente, la politica estera europea, sono stati affrontati con dichiarazioni “di principio” di cui solo nel medio termine si potranno valutare gli effetti; in questo, un ruolo fondamentale sarà ricoperto proprio dal Parlamento Europeo, chiamato a discutere e a deliberare sulle misure volte a gestire queste stesse materie, con spirito di iniziativa e attenzione al comune interesse europeo. Primo punto sull’agenda sarà inevitabilmente la crisi finanziaria. Lo European Economic Recovery Plan adottato dalla Commissione a fine novembre ha di fatto ricompreso sotto un unico nome i contributi nazionali già previsti per lo stimolo della domanda all’interno dell’Unione Europea a fronte della crisi che nei prossimi mesi investirà con ogni probabilità l’economia reale. Di fronte a questa situazione, solo un progressivo e maggiore coordinamento delle politiche economiche degli Stati Membri, con l’obiettivo (urgente) di una politica economica comune da affiancare alla già esistente politica monetaria in capo alla Banca Centrale Europea, potrà avere la legittimità per rendere l’economia Europea, nel suo insieme, capace di vincere la sfida della competitività internazionale, anche con l’ausilio di nuovi strumenti finanziari, in particolare l’emissione di Eurobond (titoli di stato europei), soprattutto a fronte della crescente sfiducia verso i titoli di stato dei paesi dell’Unione, per finanziare coraggiosi programmi di investimento e di ricerca e sviluppo.

L’accordo sul “Pacchetto Clima” nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, e la successiva approvazione da parte del Parlamento Europeo, è stato certo un traguardo importante. Tuttavia, senza voler entrare nei dettagli tecnici, fa riflettere il persistere di un approccio del tutto intergovernativo, con paesi come l’Italia pronti ad usare il diritto di veto, andando contro i propri stessi cittadini, che vivono, anche loro, in un mondo “surriscaldato” e a corto di risorse energetiche. Tra le altre sfide con cui il Parlamento Europeo che eleggeremo a giugno dovrà confrontarsi c’è poi quella

... votare senza lasciarci guidare da logiche interne ...

della politica estera. Anche in questo caso, è la paralisi inflitta dai comportamenti degli Stati nazionali a dar da pensare. La presidenza francese, che pure ha lavorato bene (soprattutto durante la crisi georgiana), ha interpretato la tanto agognata “voce unica” in politica estera come la voce unica di un leader che non solo mirava a “entrare nella storia” (sarebbe il male minore) ma ha confermato la visione di un’Europa-potenza in cui agli stati sono affidate, in via esclusiva e con diritto di veto, le competenze chiave dell’Unione, soffocando di fatto i meccanismi comunitari. Di fronte al PE,

... il sogno di un governo europeo federale, più vicino di quanto si immagini ...

nel discorso conclusivo del semestre di presidenza, Sarkozy ha affermato che «sarebbe un errore voler passare sopra la testa dei governanti eletti in nome dell’ideale europeo» come se i parlamentari europei non fossero eletti in modo democratico e dunque non fossero di diritto espressione di questo ideale.

Ideale che dovremmo ricordare tutti quando andremo a votare il prossimo giugno, senza lasciarci guidare da logiche «interne». Solo in questo modo consegneremo al Parlamento eletto un mandato, un programma di governo volto a gestire le maggiori sfide europee, forte della propria legittimità democratica e capace di restituire ai cittadini europei la fiducia nel sogno dei padri fondatori di un governo europeo, federale, che è più vicino di quanto si possa immaginare.

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