Sopravvivrà la democrazia nell’era della globalizzazione?

, di Lucio Levi

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Sopravvivrà la democrazia nell'era della globalizzazione?

La teoria della “pace democratica” sostiene che le democrazie non si fanno guerra tra loro. Da questa teoria sono poi derivate due false conseguenze.

La prima è che la diffusione della democrazia in ogni stato sarebbe di per sé sufficiente per realizzare la pace universale. La seconda è che la diffusione della democrazia dovrebbe essere allora la prima tra le priorità della politica estera di tutti gli stati democratici. Queste concezioni non prendono in considerazione le condizioni storiche che possono promuovere od ostacolare il successo della democrazia e la sua stabilizzazione. Come affermato da James Madison alla Convenzione di Filadelfia nel 1787, “I mezzi di difesa contro il pericolo esterno sono sempre stati gli strumenti della tirannia in patria”. Questa legge della politica spiega non solo l’erosione della libertà negli USA dopo l’11 settembre, ma anche il crollo delle istituzioni democratiche in Italia, Germania e Spagna tra le due guerre mondiali, e più in generale la degenerazione autoritaria dei regimi politici causata dalla pressione politica e militare che essi subiscono ai loro confini. La lezione che possiamo trarre dall’esperienza storica è che la pace, o almeno la distensione internazionale, costituisce il principale prerequisito della democrazia.

Una lezione più recente può essere tratta dal fallimento della dottrina statunitense della esportazione della democrazia in Medio Oriente e dall’esperienza degli stati falliti, come l’Irak, l’Afganistan, il Libano e i Territori palestinesi. Gli sforzi di radicare la democrazia in questa regione sono frustrati a causa del clima di insicurezza, violenza e corruzione che prevale in questi paesi e che è ulteriormente peggiorato dopo gli interventi militari statunitensi. Questa esperienza dimostra che, per spianare la strada alla democrazia, è necessaria un’ulteriore condizione preliminare, che consiste in un governo stabile, che assicuri lo stato di diritto. Inoltre, per quanto ciò possa essere spiacevole in una prospettiva idealistica, per fare funzionare una società democratica sono richieste condizioni materiali, come ad esempio lo sradicamento della povertà, delle malattie e dell’analfabetismo. Queste condizioni consentirebbero ai popoli di divenire attori razionali e intellettualmente consapevoli nei processi di formazione delle decisioni politiche.

La democrazia nel mondo

Eppure, malgrado questi ostacoli sulla strada di una piena democrazia, i decenni passati hanno visto un notevole progresso della democrazia nel mondo a partire dalla rivoluzione portoghese del 1974. Essa si è diffusa nell’Europa del Sud e dell’Est, nell’ex Unione Sovietica, in Asia e in America Latina. Per la prima volta nella storia dell’ONU una maggioranza di governi di stati membri vengono eletti attraverso procedure democratiche. Secondo l’ultimo rapporto della Freedom House (gennaio 2008), nel mondo ci sono 121 democrazie elettorali (dove ci sono libere elezioni). Di queste, 90 sono democrazie liberali (dove sono garantiti i diritti umani). Inoltre, 60 paesi sono parzialmente liberi e solo 43 non liberi. Questo straordinario progresso della democrazia dipende in larga misura da due processi paralleli: l’effetto della globalizzazione e la fine della guerra fredda.

Ciò nonostante, dobbiamo riconoscere che la democrazia non ha mai mostrato segni di debolezza tanto preoccupanti come oggi. A livello mondiale c’è un divario crescente tra il mercato e la società civile, che hanno assunto dimensioni globali, e la politica, che rimane sostanzialmente nell’ambito di confini nazionali. Di conseguenza, le decisioni da cui dipende il destino dei popoli, come la sicurezza, il governo dell’economia globale, la giustizia internazionale o la protezione dell’ambiente, tendono a sfuggire di al controllo delle istituzioni rappresentative.

La democratizzazione delle relazioni internazionali

C’è una sensazione largamente condivisa tra i cittadini che le decisioni più importanti si siano trasferite dalle istituzioni sotto il loro controllo verso centri di potere internazionali liberi da ogni forma di supervisione democratica. Così la globalizzazione determina la crisi della democrazia. In realtà, da un punto di vista globale, le decisioni prese a livello nazionale, dove esistono poteri democratici, sono relativamente poco rilevanti. Invece, a livello internazionale, dove vengono prese le decisioni più importanti, non ci sono istituzioni democratiche.

Il pericolo che abbiamo di fronte è il declino della democrazia. Più precisamente, dobbiamo chiederci per quanto tempo la democrazia può durare in un mondo in cui i cittadini sono esclusi dalla partecipazione alle decisioni che determinano il loro destino. La globalizzazione deve essere democratizzata prima che essa distrugga del tutto la democrazia.

... il pericolo è il declino della democrazia ...

Le relazioni internazionali, che sono ancora il terreno dello scontro diplomatico e militare tra gli stati e dell’antagonismo tra gli attori non statali, possono venire assoggettate al controllo popolare soltanto mediante la democrazia internazionale. L’analisi delle strutture delle organizzazioni internazionali mette in evidenza che esse sono macchine diplomatiche entro le quali i governi perseguono la cooperazione. Recentemente alcune di esse si sono dotate di assemblee parlamentari, che rappresentano la risposta dei parlamenti nazionali al processo di globalizzazione, ma sono anche un’ammissione dell’erosione del loro potere. In altri termini, i Parlamenti tentano di spostare a livello internazionale il controllo nei confronti dei governi. La maggior parte di tali assemblee multinazionali è costituita da parlamentari nazionali. Invece, il Parlamento europeo, che rappresenta la forma più avanzata di questa categoria di assemblee internazionali, è eletto direttamente.

Il ruolo del Parlamento europeo

Il Parlamento europeo è il laboratorio della democrazia internazionale. In seguito all’introduzione delle elezioni dirette, ha aumentato i suoi poteri legislativi e di controllo sulla Commissione, cioè sul potenziale governo europeo. Ciò significa che la democratizzazione dell’Unione europea è stata un potente strumento per consolidare le istituzioni europee. Vale la pena di ricordare che il dilemma che era emerso durante il processo di integrazione europea, cioè se concentrarsi prima sul rafforzamento della Comunità europea oppure se prima democratizzarla, è stato risolto in favore della seconda opzione. La stessa questione si può formulare riguardo al problema della democratizzazione dell’ONU.

... sottoporre la globalizzazione ad un controllo democratico incontra forti rischi ...

Il progetto di sottoporre la globalizzazione ad un controllo democratico incontra una fortissima opposizione non solo da parte degli stati con regimi autoritari, ma principalmente dal governo degli Stati Uniti, che non è disposto a permettere che la sua libertà di azione sia diminuita né dalle organizzazioni internazionali delle quali fa parte, né dai movimenti della società civile globale. Questa è un’ulteriore dimostrazione di quanto premesso, cioè che, per promuovere la democrazia internazionale, non basta avere un regime democratico – una condizione necessaria, ma non sufficiente. Per superare l’opposizione degli Stati Uniti, deve emergere un centro di potere capace di sostenere il progetto di un ordine democratico mondiale. E’ ragionevole pensare che l’Europa possa svolgere tale ruolo. Per esempio, il Parlamento europeo sostiene il progetto di un’Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite.

L’importanza dell’unificazione europea sta nel superamento dello stato-nazione, una forma di organizzazione politica che si esprime con la forza verso gli altri stati. E’ pertanto abbastanza sensato ritenere che l’Unione europea non abbia ambizioni egemoniche, e non ne avrà la futura Federazione europea. Sebbene l’Unione europea aspiri all’indipendenza nelle sue relazioni con gli Stati Uniti, il suo obiettivo non dovrebbe essere quello di sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di stabilizzatore dell’ordine mondiale. L’Europa dovrebbe perseguire piuttosto una politica di cooperazione con gli Stati Uniti nella prospettiva di una comune gestione dell’ordine mondiale, aperta alla partecipazione di altri raggruppamenti regionali di stati.

D’altra parte, l’Europa potrebbe avere sufficiente potere per sollevare gli Stati Uniti da alcune delle loro pesanti responsabilità mondiali ed avere così l’autorità per persuaderli a sostenere la riforma democratica dell’ONU.

Lucio Levi è Professore di Politica comparata all’Università di Torino, Italia, membro del Comitato esecutivo del WFM e del Comitato Federale UEF

L’articolo è comparso in inglese come editoriale del numero di marzo 2008 del Federalist Debate.

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