Se il Liberale dimentica il Federalismo

, di Francesco Nicoli, Francesco Violi

Se il Liberale dimentica il Federalismo

Questa crisi ha messo in luce mai come prima d’ora la linea divisoria che distingue da una parte coloro che hanno un approccio cosmopolita e federalista al liberalismo e dall’altra coloro che hanno un approccio nazionalista. Mai prima d’ora è stata così netta la distinzione fra coloro che reputano che il sistema liberale possa avere una validità effettiva solo e soltanto se trova una sua applicazione, una sua realizzazione, in ogni parte del mondo e quelli che - al contrario - si limitano ad un approccio incentrato sul proprio cortile di casa. Possiamo osservare questa scissione in occasione della crisi dei debiti sovrani, nonostante fosse ben presente anche in passato, già a partire dalla nascita della CECA, dove si contrapposero personalità quali Luigi Einaudi e Lionel Robbins da una parte e vari esponenti dall’altra, che si opposero al progetto bollandolo come socialista.

Quei grandi esponenti liberali – Einaudi e Robbins – avevano ben chiaro in mente il motivo per cui era necessario che i popoli europei formassero una federazione: la pace, la sicurezza, e la costruzione di quelle istituzioni necessarie affinché scomparissero dalla storia le condizioni che avevano portato a due terribili guerre mondiali. Luigi Einaudi stesso espose a chiare lettere che, nella futura federazione europea, il cuore sarebbe stato il Tesoro: il fatto che l’autorità federale fosse in grado di riscuotere tasse ed avere una propria autonomia fiscale.

Proprio per questo, in nome della pace, della sicurezza, del diritto alla libertà, alla libera iniziativa e all’accesso ai servizi sociali, il federalismo europeo è una battaglia liberale. A corollario di ciò, sono da considerarsi delle battaglie liberali l’unione politica, l’unione fiscale, l’unione di bilancio, l’unione bancaria: tutti quei passaggi che costituiscono delle pietre miliari nella costruzione di un assetto federale dell’Unione.

Una battaglia liberale può essere quella per la responsabilità fiscale. Una battaglia liberale è quella per la creazione di un meccanismo di hard budget constraint nel salvataggio degli Stati, può essere quella per la separazione fra la politica fiscale e la politica monetaria. Dispiace però vedere che i giovani liberali europei (LYMEC), una delle poche organizzazioni che hanno cercato nel corso di questi anni di passare effettivamente ad una struttura federale e non confederale (infatti, è l’unica giovanile di un partito politico a livello europeo ad ammettere il tesseramento individuale), si siano espressi in due diversi congressi (Lubiana 2010 e Barcellona 2011) contro gli eurobonds e contro lo ESM (European stability mechanism). Non è questa la sede per fare l’analisi economica della questione, il punto è un altro: con quelle due decisioni, i giovani liberali si sono espressi, anche contro il parere dell’ELDR (il Partito europeo dei liberali, democratici e riformatori), contro ogni forma di emissione di eurobond (senza neanche entrare nel dettaglio delle proposte) ed, esprimendosi contro la creazione dell’ESM, anche contro la creazione di ogni genere di unione dei trasferimenti, contro ogni possibile creazione di un Tesoro europeo, ignorando il fatto che senza un Tesoro europeo, senza unione dei trasferimenti, vengono però meno i principi base del budget constraint.

La democrazia in Europa non può esistere al di fuori di un quadro federale, mentre rimane esclusa all’interno di un sistema confederale. Il deficit di democrazia non potrà essere mai superato, se non attraverso una federalizzazione dell’Unione, anche se questo volesse dire l’istituzionalizzazione di una federazione all’interno dell’Unione. La semplice democrazia (o per così dire, la democratizzazione dell’Unione Europea) è uno specchietto per le allodole, una scatola vuota, se non cambiano le competenze dell’Unione, se non cambia l’assetto, se non cambia il budget. Senza questi elementi non c’è democrazia che tenga. L’elezione diretta del Presidente del Consiglio europeo o del Presidente della Commissione, o la Costituente unica del Parlamento europeo sono parte della soluzione, ma non costituiscono una risposta completa al problema, specialmente se non si esce dallo schema attuale.

Un po’ di chiarezza

Parlare di Leviatani in questo caso è superfluo. Il più liberale dei liberali, Adam Smith, sosteneva che lo Stato deve avere funzioni minime, in particolare quelle di fornire beni pubblici (moneta, difesa, etc.), finanziare le infrastrutture (intese in senso lato) e avere gli strumenti economici per finanziare tutto ciò. Lo stato è un’invenzione liberale, non la sua negazione. Oggi, l’Unione Europea non dispone di questi strumenti; mentre a livello nazionale – proprio per la necessità di coordinamento imposta dalla modernità - queste funzioni sono sottratte al voto democratico. Una confederazione – come quella in cui ci troviamo oggi - prosciuga la democrazia nazionale senza dare in cambio una democrazia sovranazionale.

No taxation without representation” è il principio che definisce la democrazia liberale. E se è vero che gli eurobonds, senza un trasferimento dei poteri di controllo ad un organo comunemente eletto, costituiscono - alla luce di questo principio - la dittatura dei popoli sussidiati su quelli sussidianti (i secondi infatti in un tale schema si troverebbero a pagare per spese per il controllo delle quali non hanno la possibilità di eleggere un rappresentante) è vero anche il contrario, ovvero che la pura convergenza fiscale depriva la democrazie che devono convergere del diritto di voto sulle politiche fiscali. Nel secondo caso, non sarebbero “i tedeschi” a rinunciare alla democrazia, ma “gli italiani”.

Ora, salvare la moneta unica implica una delle due alternative: mutualizzazione dei debiti o convergenza fiscale. Ma, senza un trasferimento di poteri ad una democrazia sovranazionale, entrambe queste strategie generano la perdita della democrazia per una parte o per l’altra. Quindi, è esattamente il principio più basilare del liberalismo a imporre la costruzione della federazione: la scelta è tra federazione, “dittatura” (ovvero cessazione del principio “no taxation without representation”) o rinuncia alla moneta unica. Da questo trilemma i liberali dovrebbero partire e trarre le loro conclusioni, non dall’emotività legata al disfacimento delle democrazie nazionali.

Il ruolo del Parlamento europeo

Il Parlamento europeo, che nel 1984, sotto la guida di Spinelli, fu sconfitto dalla forte opposizione di alcuni governi, aveva allora molte più capacità d’iniziativa, di sfida, d’impresa rispetto al Parlamento europeo di oggi, che sulla base del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e del TUE (Trattato sull’Unione europea), ha molti più margini d’iniziativa del Parlamento europeo della I legislatura. All’epoca mancava la cornice legale, ma la politica era ben presente. Oggi invece, è proprio la politica a mancare, nonostante la cornice legale sia più favorevole alle battaglie del Parlamento. L’attivismo dei Grand Commis e degli eurocrati tanto sbeffeggiati è equiparabile ad un termometro, un termometro che segnala l’assenza della politica europea, assenza colmata dalla loro presenza. Invece, il solo modo liberale per ridare dignità all’Unione è proprio quello di aumentare i poteri del Parlamento, riattivando il legame tra assemblea e costituency.

Senza parlamenti, non c’è liberalismo. Chi si illude di poter promuovere la convergenza delle economie europee negando il diritto di un parlamento congiunto a gestire il processo non è un liberale ma esattamente l’opposto: un araldo della più becera dittatura, così come chi si illude che basti la semplice cooperazione fra Stati nazionali senza l’apporto di istituzioni sovranazionali federali, di fatto altro non è che un fautore di un ritorno ad una situazione di anarchia o semi-anarchia internazionale.

Qualche conclusione

Chi si reputa liberale deve avere ben presente che:

1) Il potere esiste ovunque sia necessario provvedere alla produzione di beni pubblici. Allo stesso tempo i bilanciamento dei poteri è necessario in tutti i sistemi politici, dal quartiere fino ai livelli più grandi.

2) Se in Europa negli ultimi sessant’anni è stato possibile mettere in moto un meccanismo di decentramento amministrativo e un sistema di competizione fra Stati nazionali, è stato proprio grazie a quel nucleo di istituzioni che, in prospettiva federale, sono andate a scalfire gli interessi nazionali. Prima di quella fase, non c’era nessuna competizione fra le “Good practices” in economia e nella pubblica amministrazione, o meglio c’era, ma sostanzialmente sui campi di battaglia.

3) L’efficienza della pubblica amministrazione può essere presente a livello europeo così come a livello locale. Non sempre “il grande è brutto” come nemmeno “il piccolo è automaticamente bello”. La storia è piena di grandi Stati che son riusciti a durare per secoli ed hanno avuto non solo una burocrazia efficiente ma che costituivano anche un esempio nella gestione delle proprie risorse, così come la storia è ancor più piena di piccoli Stati che non son riusciti a sopravvivere in presenza di Stati più grandi. Sono molti di più i casi come l’isola di Melo, mentre casi come la Svizzera sono un’eccezione. E non sempre un piccolo Stato è un esempio di regime liberale.

4) Non c’è soluzione liberale alla crisi economico-istituzionale che sta strangolando l’Europa senza la costruzione di una democrazia federale sovranazionale. Ci sono altre soluzioni, ma corrispondono a quella che una volta veniva chiamata dittatura o altrimenti all’anarchia. Nulla di male: noi siamo liberali e la libertà di pensiero è irrinunciabile. Una riflessione però se fossimo in voi la faremmo.

L’articolo è inizialmente stato pubblicato sul Blog - Giovani Federalisti Europei

Fonte dell’immagine: Flickr.com

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