Prove per un governo economico europeo

, di Antonio Longo

Prove per un governo economico europeo

Mentre in Italia negli ultimi mesi la politica ha dibattuto di vicende di un appartamento a Montecarlo, di intrighi legati a società off-shore della bella isola caraibica di St. Lucia, in Europa sono state dibattute cose diverse.

Proviamo a ricordarle. Il 9 maggio il Consiglio europeo ha varato il “fondo europeo di stabilità” di € 500 miliardi a garanzia del debito per i Paesi in reale o potenziale default (Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda). Contemporaneamente la BCE ha deciso di acquistare sul mercato i titoli di stato dei Paesi a rischio. Queste decisioni hanno evitato la crisi dell’euro e la deflagrazione della stessa unità europea (come disse all’epoca la Merkel). E’ bene ricordare queste cose: se possiamo trastullarci con Montecarlo è perché l’unione monetaria ha tenuto, altrimenti saremmo a discutere su cosa fare con una ‘nuova Lira’ ed un’inflazione a due cifre.

Più di recente, il 22 settembre la Commissione europea ha presentato il piano sulla “supervisione finanziaria nella UE”. Si tratta della creazione di tre nuove istituzioni volte a vigilare a livello europeo, rispettivamente: a) sulle banche (European Banking Authority, con sede a Londra); b) sulle assicurazioni e fondi pensioni (European Insurance and Occupational Pensions Authority con sede a Francoforte): c) sui mercato borsistici (European Securities and Markets Authority con sede a Parigi). Si tratta dell’auspicata ‘vigilanza europea’ sul sistema finanziario. Essa non elimina le ‘vigilanze nazionali’, ma le coordina, stabilisce regole comuni, verifica la compatibilità delle decisioni nazionali con la normativa europea, interviene anche con poteri vincolanti in caso di disaccordi tra supervisori nazionali e con poteri diretti sugli intermediari in alcuni casi (ad esempio nel caso di operatività cross-border). Le nuove istituzioni avranno anche il compito di valutare l’impatto sul mercato di certi prodotti finanziari e potranno vietarli in casi estremi: ad esempio, nel caso di ‘vendite allo scoperto’ o dei famosi CDS (credit default swaps).

Sopra queste tre strutture tecnico-operative è stata creato un Comitato strategico, composto dalla Commissione, dalla BCE e dai Presidenti delle tre nuove istituzioni di vigilanza. Lo European Systemic Risk Board, con sede a Francoforte, ha il compito di monitorare e valutare i potenziali rischi per la stabilità finanziaria dell’Unione che possono nascere da sviluppi macro-economici negativi degli Stati: in tal caso vengono lanciati avvertimenti e raccomandazioni per fronteggiare questi rischi.

Lo scopo dunque di queste nuove strutture, approvate a larga maggioranza dal Parlamento europeo e che dovrebbero essere operative già dal prossimo gennaio, è quello di porre l’Unione europea al riparo da crisi finanziarie derivanti da comportamenti a rischio degli operatori (supervisione micro-prudenziale) o da indirizzi macro-economici degli Stati che possono mettere a rischio la stabilità dell’intero edificio comunitario (supervisione macro-prudenziale).

Ma la novità maggiore è rappresentata dalle nuove misure presentate il 28 settembre dalla Commissione Barroso per rinforzare il “Patto di stabilità e di crescita”. Esse hanno non solo alimentato il dibattito politico ed economico in Europa (ma non in Italia), ma anche quello sociale, dando vita anche a manifestazioni sindacali a livello europeo: lo stesso giorno a Bruxelles c’erano in piazza svariate decine di migliaia di persone che protestavano contro l’austerità di bilancio vista come l’unica chiave di volta per uscire dalla crisi. Qual è la sostanza del ‘nuovo’ patto di stabilità (ma non di crescita)? Finora esisteva solo la procedura ‘per deficit eccessivo’ nei confronti dei Paesi il cui bilancio annuale registrava un deficit superiore al famoso 3% del PIL. L’esperienza di questi primi dieci anni di euro mostra che questa sola disciplina è stata poco rispettata, specialmente nei confronti dei paesi importanti. Nel 2005 fu risparmiata a Italia, Francia e Germania, con la ‘promessa’ che sarebbero successivamente ‘rientrati’ dal deficit. Ma poi arrivò la crisi internazionale… e lo sfondamento dei deficit fu addirittura autorizzato. La regola del 3% non è dunque bastata a contenere il debito pubblico, cioè lo stock di debito complessivo accumulato nel tempo. La Commissione propone, con queste misure, di istituire due nuove discipline, anch’esse accompagnate da sanzioni: quella per “debito eccessivo” e quella per “squilibri eccessivi”.

Dietro la prima c’è una precisa filosofia: le spese annuali di uno Stato non devono superare un tasso di crescita ragionevole a medio termine. L’obiettivo è quello di spingere i Paesi ad utilizzare gli avanzi di bilancio per ridurre il loro debito pubblico. A tal fine, nel ribadire il principio, già presente in Maastricht, che il debito pubblico di uno Stato non deve superare il 60% del PIL, si stabilisce che per giungere a questo traguardo occorre ridurre il debito pubblico ad un ritmo annuale di 1 ventesimo sugli ultimi tre anni per la quota eccedente quel livello. Concretamente: l’Italia ha oggi un debito pubblico del 118% sul PIL, quindi è fuori del 58%; deve ridurre il proprio debito di 2,9 punti all’anno, per un totale di 8,7 punti in tre anni. Per poi continuare. E’ pur vero che nel documento della Commissione si dice che verranno presi in considerazione “other relevant factors”, come la spesa pensionistica, il debito privato e la sostenibilità complessiva dello Stato (proposta italiana). Ma questi, al momento sono solo indicazioni di massima (è più difficile stabilire quanto debbano ‘pesare’), mentre i perni centrali restano il debito pubblico ed il deficit.

In caso di procedura per ‘debito eccessivo’ scatta la sanzione. Il Paese interessato dovrà creare un deposito infruttifero dello 0,2% del PIL che potrà trasformarsi in multa se non si rispettano le misure correttive previste dalla raccomandazione. La multa potrà crescere se i risultati del risanamento non emergono, ed al Paese potranno esser ridotti i fondi del bilancio europeo. Il meccanismo decisionale per questi passaggi prevede una novità di rilievo. La proposta della Commissione sarà ritenuta adottata automaticamente, a meno che il Consiglio dei ministri finanziari (Ecofin) non la blocchi con un voto a maggioranza. Quindi se non si forma una maggioranza ‘al rovescio’ da parte degli Stati, la decisione della Commissione fa testo. Possiamo interpretare questo cambiamento come un atto di preminenza dell’Istituzione europea nei confronti degli Stati.

Con la seconda disciplina, quella per “squilibri eccessivi” si punta direttamente a mettere sotto esame non la politica di bilancio, ma la stessa politica economica degli stati, che a causa dei loro squilibri macro-economici (ad esempio, scarsa competitività) possono mettere a rischio l’insieme dell’economia europea. In tal caso ci sarebbero, in una prima fase, delle raccomandazioni per predisporre misure correttive entro un certo lasso di tempo. Successivamente, in caso di non ottemperanza, scatterebbe un’ammenda pari allo 0,1% del PIL nazionale, come sanzione automatica su proposta della Commissione, salvo una decisione contraria del Consiglio europeo presa secondo il meccanismo sopra descritto (‘maggioranza rovesciata’).

Quali considerazioni possiamo fare sulle proposte della Commissione volte a rafforzare, con misure più stringenti, il Patto di stabilità? La Commissione ha ragione quando dice che occorre mettere ordine in casa, eliminare le potenziali storture finanziarie ed economiche che mettono a rischio l’unità monetaria, autentico “bene pubblico europeo”. E che il problema del debito pubblico va affrontato a livello europeo perché il default di un Paese-euro si ripercuote automaticamente sugli altri. E che, pertanto, occorre che ciascun Paese si interroghi sulla ‘qualità’ del proprio debito, individuando i settori in cui si annidano sprechi, rendite parassitarie e poi, ancora, meccanismi di corruzione e di macroscopica evasione fiscale che abbassano la base imponibile e, quindi, le entrate, innalzando così la percentuale del debito complessivo. Aver posto l’attenzione sul ‘debito eccessivo’ e la lotta per la sua riduzione quale aspetto importante della ‘governance economica’ è senza dubbio un punto di forza dell’iniziativa della Commissione.

Esiste, però, un punto debole. Che non è tanto quello dei meccanismi sanzionatori che, anche se resi più stringenti con la regola della ‘maggioranza rovesciata’, restano comunque ‘ad effetto ritardato’, quando il problema è già esploso, quindi poco efficaci. Ma che possono funzionare almeno come deterrente. Il vero punto debole della proposta della Commissione è che manca la parte dello ‘sviluppo’. L’uscita dalla crisi deve tenere assieme due cose: il risanamento e lo sviluppo. Se manca lo sviluppo lo stesso risanamento finanziario diventa ‘a rischio’, perché non è tollerabile socialmente ed i primi scioperi e le manifestazione in Spagna e a Bruxelles lo dimostrano.

Il risanamento finanziario devono farlo gli Stati perché sono loro che hanno sfasciato i conti pubblici. Ma lo sviluppo deve farlo l’Europa. Primo perché gli Stati non sono in grado di farlo perché devono risanare e quindi non hanno risorse per finanziare lo sviluppo. Secondo perché anche chi avrebbe le risorse (Germania) non lo fa perché sopporterebbe interamente i costi (con l’aumento del proprio debito) per rilanciare uno sviluppo di cui beneficierebbero tutti gli altri Paesi. Terzo perché se lo fa l’Unione il costo complessivo è minore e gli effetti si ripercuotono su tutti.

L’Unione non ha debito e potrebbe finanziarlo con l’emissione di union bonds per un programma di investimenti nelle grandi infrastrutture europee, nella ricerca e nelle tecnologie d’avanguardia per formare i campioni europei nei settori di punta, nelle energie rinnovabili, nella salvaguardia del territorio e nella qualità della vita. Si formerebbe così un bilancio dell’Unione articolato in due sezioni: un conto capitale alimentato dagli union bonds e destinato a finanziare il piano di investimenti, e una sezione in pareggio, secondo le regole attuali dell’Unione, per finanziare la redistribuzione territoriale e la produzione di beni pubblici europei. Ciò pone all’ordine del giorno anche il problema di una fiscalità europea, nel quadro di un federalismo fiscale che preveda diversi livelli di governo e di servizi pubblici da erogare: a livello comunale, regionale, nazionale, europeo.

Dunque, la debolezza della proposta della Commissione è che, ancora una volta, si parla di ‘Patto di stabilità’ e non di crescita. Perché la Commissione faccia questo passo indispensabile occorre che diventi un vero ‘governo europeo’ non solo economico, bensì politico, a tutti gli effetti. Se si vuol chiedere il risanamento e, poi, decidere dello sviluppo occorre essere legittimati davanti al popolo europeo, con elezioni in cui gli schieramenti politici europei che si fronteggiano propongono diversi modelli di sviluppo. Si pone, dunque, il tema di chi deve governare l’Europa, che non può più essere il ‘concerto intergovernativo degli Stati’. Non molto tempo fa il presidente della BCE (Trichet) disse che a Maastricht i capi di governo decisero di fare il “patto di stabilità” perché non vollero fare il ‘governo federale europeo’. Questo è il punto, oggi ancor più che ieri.

Fonte immagine: Flickr

Tuoi commenti
  • su 5 novembre 2010 a 01:33, di giorgio ritucci In risposta a: Prove per un governo economico europeo

    In Italia il 99% delle persone non si interessa di politica, giudicata dai più una cosa sporca, se non per trarne dei vantaggi specie tutti coloro che la fanno di professione alle dipendenze dei soliti oligarchi al potere da decenni. Negli altri paesi esiste un più elevato senso civico ma impera purtroppo ancora un forte spirito nazionalista ed una bassa coscienza europea. Questo è un dato di fatto che mette sotto accusa prima di tutto la dirigenza politica sia che governi sia che faccia l’opposizione. Scritto questo al consiglio europeo di maggio ci sarà pure stato qualche rappresentante del governo berlusconi. O no?. In tutti casi si tratta di prove e tali rimarranno se i cittadini europei non troveranno la via per imporre ai governanti nazionali e nazionalisti di intraprendere velocemente la strada della federazione europea. Caro amico Longo il diavolo della situazione non è il Berlusconi copia speculare dei suoi avversari ma la persistenza dello stato nazionale sovrano e di una democrazia appena agli inizi tanto che la definirei delle caverne o dell’uomo di neardenthal. .si potrebbe fare molto di più ma la gente è pigra ed affezionata alle proprie idee come gli amici del MFE, di cui facevo parte a 17 anni, che non sanno andare oltre a menzionare in tutte le occasioni A.Spinelli come fosse l’unico federalista di europa. Ci vogliono progetti nuovi e non bastano i riferimenti ad un tizio che certamente ha avuto il suo ruolo ma che ha fatto il suo tempo. Cordiali saluti Giorgio Ritucci

  • su 8 novembre 2010 a 09:53, di Niklas In risposta a: Prove per un governo economico europeo

    Please, can u arrange to translate this article into English? Id rilly like to read it.

    LG, Niklas

  • su 13 dicembre 2010 a 16:57, di Antonio Longo In risposta a: Prove per un governo economico europeo

    Caro amico Ritucci,

    anch’io mi sono iscritto a 17 anni al MFE e credo, come te, che il nemico siano le sovranità nazionali. Berlusconi (che non c’entra nulla con l’articolo che ho scritto) è solo un’aggravante della situazione. Anch’io penso che non basta citare Spinelli o sperare in qualche leader illuminato, ma che bisogna far capire ai cittadini che occorre mobilitarsi in prima persona per rivendicare la federazione europea, perchè è nel nostro interesse. Questo dovrebbe essere il compito del MFE, utilizzando anche la crisi internazionale. Saluti

    Antonio Longo

  • su 13 dicembre 2010 a 17:00, di Antonio Longo In risposta a: Prove per un governo economico europeo

    Pls address your request to the editor. Regards

    Antonio Longo

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