Lo slogan più ripetuto alla Convenzione democratica che ha candidato Obama ad un secondo mandato suonava “four years more”. Credo che gli italiani europeisti e federalisti potrebbero parafrasarlo affermando che Monti dovrebbe guidare l’Italia anche nel prossimo quinquennio. Ci sono due fondamentali ragioni, che s’intrecciano e che giustificano quest’indicazione.
La prima è quella che emerge da considerazioni prettamente di politica nazionale. La classe politica italiana versa ormai in uno stato di continua ed accelerata decomposizione. Com’era prevedibile, con la fine di Berlusconi, il centro-destra sta implodendo. I continui scandali ci dicono che il sistema di potere non è più in grado di controllare la sua auto-riproduzione. Venuto a mancare il «garante di ultima istanza», il collante che teneva assieme tutte le varie satrapie locali si scioglie e la corruzione che stava sotto, coperta dal potere, viene ora a galla con tutto il suo olezzo maleodorante. La crisi del centro-destra che abbiamo conosciuto per venti anni è irreversibile ed è l’esistenza del governo Monti che, non fornendo più quel collante, l’ha fatta emergere. È un merito oggettivo, che sta al di là dei giudizi che si possono dare sul suo lavoro.
Ma anche il centro-sinistra versa in uno stato di grave crisi. Non tanto per gli scandali (da cui anch’esso è stato colpito), ma perché non ha un’identità, non ha un programma, non ha un leader. I media, come al solito, si fermano in superficie. Parlano di Renzi, Vendola, Bersani, Di Pietro, delle loro liti e battute. Parlano di crisi della politica e della democrazia, che per loro è solo nazionale, ma non vanno alla sostanza del problema. La politica e la democrazia sono sfuggite, per sempre, all’esclusiva dimensione nazionale ed ora stanno anche in una no man’s land (l’Europa) che nessun potere democratico controlla. Questa è la ragione profonda della crisi della sinistra, che nessun Bersani o Vendola possono ricomporre, finché stanno barricati entro il quadro del potere italiano.
Ne deriva che gli schieramenti politici italiani, incapaci strutturalmente di dare una risposta alla crisi della politica e della democrazia, finiranno per scomporsi, per poi ricomporsi lungo linee nuove: la fase di transizione della politica italiana non termina, dunque, con la fine della presente legislatura, ma ingloberà almeno una parte della prossima.
Quest’ultima considerazione porta diritto alla seconda ragione (più importante della prima) che ci fa sostenere che il Professore è necessario five years more.
In questi anni i Paesi europei stanno vivendo una lunga fase di transizione verso la nascita di un Governo federale. Una fase che è iniziata con la crisi dei debiti sovrani e che costringe gli Stati a cedere quote di sovranità in tema di bilancio, spesa pubblica, riforme strutturali del mercato del lavoro, del welfare ed altro. Sono tutte questioni che vanno al cuore della sovranità reale di un Paese e della sua manifestazione più concreta: la politica e la democrazia.
Allorché a destra, come a sinistra, ci si lamenta del fatto che l’Italia (come la Spagna, la Grecia, ecc.), subendo i diktat di Bruxelles o di Francoforte non sarebbero più sovrane e che ciò rappresenterebbe un «vulnus» per la democrazia, è perché si pensa che la democrazia e la politica possano/debbano essere solo ed esclusivamente nazionali. Non ci si rende conto che la storia nazionale della politica e della democrazia è finita con Maastricht e che questa fine è stata mascherata fino a che la crisi dei debiti (un tempo) sovrani non l’ha portata in piena luce. Oggi è il tempo della costruzione di una politica e di una democrazia europea. E ciò deve cambiare radicalmente l’approccio delle forze politiche, culturali, sociali ed economiche. I partiti devono pensare come ed in che tempi strutturarsi a livello europeo, per candidarsi alla guida del «Governo europeo». È lì che dovrà giocarsi la partita reale per gestire il cambiamento necessario affinché la società europea possa essere coesa socialmente, competitiva economicamente e solida politicamente per affrontare le sfide mondiali.
Allora, in quest’ottica, il livello nazionale ha un ruolo importante se serve a preparare la svolta. Per far nascere un Governo europeo c’è bisogno di Stati che cedono sovranità (quindi consapevoli della loro debolezza), ma non «spaccati» al proprio interno lungo nette linee di divisione (le tendenze secessioniste in Italia, Spagna ed altrove sono da condannare). C’è bisogno di Stati che proseguono l’opera di risanamento finanziario per far emergere a livello europeo le risorse necessarie per un Piano europeo di sviluppo. C’è bisogno di una classe politica che comprenda che è tempo di farla finita con le risse nazionali per un potere politico che non può risolvere problemi che sono ormai europei. E che, invece, è tempo di attrezzarsi per competere sul potere europeo, vale a dire quello che può dare sviluppo e progresso per le prossime generazioni.
Il caso italiano è indicativo e per questo è seguito con tanta attenzione ed apprensione in Europa e nel Mondo. Il governo Monti si è mosso, sin dall’inizio, su due piani interconnessi. Il primo è quello del risanamento e della costruzione dell’immagine di un Paese affidabile: è il piano per la costruzione di una «Italia europea», condizione necessaria per poter svolgere un ruolo propositivo in Europa. Il secondo piano è quello diretto a superare la fase intergovernativa (direttorio franco-tedesco) della costruzione europea ed a far nascere un «Governo europeo», condizione necessaria per rendere accettabili le misure di risanamento finanziario all’interno del Paese.
Questo lavoro ha bisogno di un tempo che va oltre la fine dell’attuale legislatura. La crisi politica, morale, sociale ed economica del Paese è assai profonda. L’Italia ha bisogno di una lunga cura volta a dare legalità e certezza ad un Paese che è sempre cresciuto pensando di poterne fare a meno. Ora ciò non è più possibile. Non può esserci crescita senza legalità, ed il lavoro è appena all’inizio.
Quest’azione sul fronte «interno» deve incrociarsi con quella sul piano «europeo», ricevendone l’alimento di una prospettiva politica precisa e concreta d’unità politica. Nel Consiglio europeo del prossimo dicembre sarà presentata la road map per l’Unione bancaria, di bilancio, economica e politica che si svilupperà presumibilmente per tutto il 2013. È in quel quadro che le forze politiche (federalisti compresi) dovranno muoversi per accelerare il processo, indirizzandolo verso uno sbocco federale. Nella primavera del 2014 si terranno le elezioni europee. È in vista di quella prospettiva che le forze politiche dovranno muoversi per dare uno sbocco costituente al processo stesso; nelle elezioni europee si dovrà giocare la vera partita tra progressisti e conservatori.
Tutto ciò richiede un Paese politicamente unito. Non sappiamo oggi quale potrà essere il risultato delle elezioni italiane nella prossima primavera, ma sappiamo che dobbiamo auspicare una vittoria delle forze che si richiamano alla necessità della Federazione europea, e che Mario Monti può ancora autorevolmente guidare un governo supportato da queste forze.
1. su 5 ottobre 2012 a 09:00, di Federico Brunelli In risposta a: Mario Monti, Five Years More
Credo che il prossimo governo Monti, se nascerà, dovrebbe avere al suo interno anche rappresentanti dei partiti della coalizione che lo sostiene, di modo che i partiti si sentano più legati al governo di quanto lo sono adesso e che si stemperino le accuse di scarsa democraticità dell’esecutivo.
2. su 5 ottobre 2012 a 20:53, di Antonio Longo In risposta a: Mario Monti, Five Years More
Concordo, anche se forse è più probabile un mix politici con qualche tecnico.
3. su 8 ottobre 2012 a 10:36, di Pierpaolo Pini In risposta a: Mario Monti, Five Years More
Ma scherziamo? E questa la chiamate informazione? Altri 5 anni di Monti porteranno il paese alla rovina!
4. su 11 ottobre 2012 a 19:18, di Antonio Longo In risposta a: Mario Monti, Five Years More
Non è informazione, sono opinioni argomentate a partire da fatti. Non sentenze - non argomentate - con tanto di punto esclamativo.
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