La guerra è finita

, di Antonio Longo

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La guerra è finita

Con la condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale si chiude il ventennio di un’era politica contrassegnata dalla presenza del Cavaliere. Naturalmente i commentatori della politica nazionale continueranno a «giocare» attorno alla sua figura, ipotizzando ritorni sulla scena politica da protagonista, agitando scenari da guerra all’ultimo sangue. Chi fantastica di queste cose non tiene conto di due elementi.

Il primo è che, dopo la sentenza di condanna definitiva, Berlusconi non è più candidabile per legge ad alcunché e pertanto il centro-destra italiano dovrà necessariamente cercarsi un altro leader, che sia competitivo con il centro sinistra e pienamente operativo sul campo. E ciò eclisserà (lentamente, ma inevitabilmente) il ruolo del Cavaliere.

Il secondo è che, proprio a seguito di questa eclisse politica, il centro-destra italiano potrà iniziare un’opera di ristrutturazione, dalla quale dovrà emergere una formazione di stampo europeo e non più nazional-populista. Le prossime elezioni europee del maggio 2014, che vedranno molto probabilmente la presenza di candidati europei del PPE e del PSE per la guida della Commissione europea, imporranno una soluzione del genere. Quindi il centro-destra italiano sarà indotto, suo malgrado, ad uscire dal ventennio berlusconiano.

La guerra è, dunque, finita e Berlusconi l’ha persa. I paralleli storici, pur nei loro limiti delle rispettive specificità, aiutano a capire il profondo dei processi. Mussolini fu defenestrato nel luglio del ’43, dopo lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia perché un potere più forte aveva messo piede in Italia. Berlusconi viene defenestrato nel novembre 2011 ad opera dell’Europa, perché un potere più forte non poteva più consentire che l’Italia mettesse in crisi l’Eurozona (cfr. «L’Europa ha buttato giù Berlusconi»). Dopo quasi due anni arriva, con la sentenza della Cassazione, la definitiva sconfitta politica di Berlusconi, una sorta di «25 aprile» che conclude anch’esso un ventennio dominato da una figura che ha cercato di piegare gli interessi del Paese al proprio bisogno di potere.

Se è vero dunque che Silvio Berlusconi ha perso, ciò non significa che il berlusconismo sia finito. Esso è l’espressione di un blocco sociale eterogeneo formato non solo da imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi ai quali si strizza l’occhio sul piano fiscale, ma anche «da clientele locali legate alla riproduzione della spesa pubblica, nella quale spesso si manifesta in Italia il connubio tra politica e malaffare» (cfr. «Una battaglia di civiltà»). Il governo Monti, con la sua politica di rigore, aveva cominciato a porre in discussione questo blocco sociale, ma questa è una politica che richiede tempi lunghi e, soprattutto, una sponda europea che indichi un’alternativa di sviluppo. La piccola e media impresa, priva di una moneta svalutabile (l’euro) e cullata per decenni da chi promette di chiudere un occhio sul piano fiscale, può assumere nuovi interlocutori politici solo in presenza di un processo di sviluppo concreto, che le consenta di stare sul mercato interno e internazionale. Questa prospettiva di sviluppo finora non è emersa e ciò spiega perché il berlusconismo persiste ancora in strati importanti della società italiana e perché la sua dimensione politica ha potuto ottenere un certo recupero nelle ultime elezioni.

Il problema dello sviluppo economico chiama in causa direttamente la sua dimensione europea. Non è più possibile alcun rilancio economico in Italia senza un serio «piano europeo di sviluppo» capace di mettere in moto quegli investimenti in R&S, nelle grandi infrastrutture, nelle reti energetiche e telecomunicative europee, nell’ambiente, nell’istruzione di alto livello. E, per tal via, far nascere imprese che vivono grazie allo sviluppo del mercato europeo e capaci di reggere la competizione internazionale, come pure soggetti sociali affrancati dalla dipendenza della spesa pubblica nazionale. Solo un’Europa che ridisegna l’erogazione dei beni pubblici secondo i principi del federalismo e della fiscalità europea può responsabilizzare l’erogazione della spesa pubblica, spezzando la manomorta del clientelismo locale.

Dopo la fine politica di Silvio Berlusconi c’è dunque bisogno di una grande politica europea di sviluppo per superare la composizione sociale che ha alimentato per vent’anni la sua politica. Si tratta dunque di modernizzare il Paese e di porlo definitivamente nel quadro di una società europea avanzata che fa dell’economia della conoscenza l’asse del proprio sviluppo. Un Piano europeo di sviluppo è dunque l’elemento di congiunzione tra il rilancio dell’economia e la riforma della società italiana, in altri termini è la condizione necessaria perché si produca una scomposizione e ricomposizione dei suoi strati sociali. L’Iniziativa dei cittadini europei per un «Piano europeo straordinario per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione» è il contributo concreto che i federalisti possono offrire per cambiare l’Italia, riformando l’Europa.

Fonte immagine Flickr

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  • su 6 agosto 2013 a 09:20, di Salvatore Sinagra In risposta a: La guerra è finita

    al di là di qualche battuta che ho scritto su facebook, è interessante il passaggio in cui Antonio scrive che con Berlusconi fuori gioco il centrodestra sarà costretto a trovare un nuuovo leader. E’ innegabile che si aprono nuovi scenari, tuttavia gli esiti non sono affatto scontati. Il caro leader cercherà di mettere alla testa del nuovo partito un suo fedelissimo, un Alfano a caso, per continuare a gestire tutto da dietro le quinte (tra l’altro nelle realtà locali è già successo che un politico interdetto abbia mandato avanti il suo uomo).Certo nulla è scontato, perchè già al crepuscolo del governo Monti era stata testata la pista Alfano, ma sconfortati dai sondaggi i pidiellini ritornarono a Berlusconi. In tale contesto considererei due fattori, uno che gioca a favore di berlusconi (che come un leader da paese extraeuropeo vuole continuare a stare in sella anche se ormai ha fatto il suo tempo) ed uno che gioca contro. Può aiutare berlusconi il fatto che ormai, dopo due decenni di epurazioni e di abbandoni volontari del partito da parte delle figure di maggior spessore e indipendenza il centrodestra è fatto di dipendenti del leader che trovano il loro spazio nella società e spesso la loro retribuzione alla corte del sultano (una di loro è stata estremamente esplicita affermando che senza il capo oggi non sarebbe parlamentare, e non aggiungo altro...); gioca contro il modello del leader fantoccio la sostinibilità del modello: se i sondaggi dicessero che nuova forza italia vale meno del 10% con l’uomo di berlusconi il centrodestra sarebbe costretto ad altre strategie. In sostanza se Berlusconi vuole un PDL/una nuova forza italia competitivo/a deve indicare un leader che raccoglie consensi, ma se la nuova guida avesse successo potrebbe chiedere alla vecchia di fare un passo indietro

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