La Federazione Europea per salvare l’Italia

, di Antonio Longo

La Federazione Europea per salvare l'Italia

Storditi dallo tsunami di Grillo i progressisti italiani non sanno darsi una spiegazione della mancata vittoria del centro-sinistra. Chi resta in una logica nazionale vede solo i conflitti tra i partiti in rapporto con il potere nazionale: la presenza di Ingroia ha tolto voti al centro-sinistra, Monti è stato equidistante, il populismo di Grillo ha drenato voti alla sinistra, il peso mediatico di Berlusconi ha alterato la competizione, la legge elettorale era sbagliata, gli Italiani che sono refrattari alle regole democratiche e via di seguito.

Il dato di fatto è che, in termini numerici, Berlusconi ha perso molto (a favore di Monti e Grillo), ma non abbastanza per la sua definitiva uscita di scena, Bersani ha perso a favore di Grillo, mentre Monti non è riuscito a far nascere subito il “partito italiano della borghesia europea”.

L’attenzione va posta sui due mancati vincitori, Bersani e Monti, che non hanno oggi i numeri per governare assieme, come noi federalisti avevamo auspicato. Perché? La scommessa di Bersani era quella di mostrare che il centro-sinistra italiano è un pezzo di un fronte progressista europeo, quindi legittimato a governare (il viaggio in Germania aveva questo senso), attorno all’idea del lavoro da riconquistare. La scommessa di Monti era quella di disaggregare il blocco sociale berlusconiano e di riaggregare la parte di borghesia imprenditrice, che si confronta con il mercato internazionale, con gli strati sociali di istruzione superiore (“gli italiani capaci”), attorno all’idea del ‘buon governo’.

Queste due scommesse, entrambe giuste, si scontrano con il grave limite rappresentato dal fatto che vengono perseguite nel quadro politico nazionale, specialmente se c’è di mezzo una campagna elettorale.

In questo quadro Bersani non poteva che chiedere, come ha chiesto, solo “un po’ di lavoro, un po’ di ripresa dei consumi…” perché il quadro italiano di potere, alle prese con il risanamento finanziario, non può offrire che briciole. L a contraddizione nella quale si trova il centro-sinistra è lampante ed è la stessa nella quale si trova oggi la politica europea. Da una parte gli stati nazionali devono tenere sotto controllo i conti, risanare la spesa pubblica da sprechi, corruzioni e clientelismi vari, per dare efficienza all’amministrazione, condizione necessaria per aumentare la competitività delle imprese. La conseguenza è che non ci sono risorse, sul piano nazionale, per effettuare investimenti produttivi significativi nei settori strategici dai quali dipende lo sviluppo che conta. Qualora venissero con sacrifici enormi reperiti, i benefici verrebbero comunque diluiti nel grande mercato europeo.

Dall’altra parte, una politica di sviluppo va fatta assolutamente, per controbilanciare la politica di austerità, ma tutti sanno che può essere sviluppata solo a livello europeo, cosa che garantirebbe costi complessivi più bassi, maggiore efficienza grazie alle economie di scala e benefici per tutti.

Questa contraddizione è chiara, ma non può essere esplicitata, specie nelle elezioni nazionali, perché minerebbe la legittimità della competizione e del potere nazionale. Se quest’ultimo non garantisce più lo sviluppo che senso ha battersi per esso? Questo è un tipo di contraddizione che colpisce maggiormente il centro-sinistra rispetto alle altre formazioni. Storicamente la sinistra vince quando c’è lo sviluppo, perché è solo a partire da questo che può esserci poi una politica di ridistribuzione dei suoi benefici. Ma oggi lo sviluppo non può più determinarsi a livello nazionale. Per questo Bersani non può prospettare nulla all’elettorato, perdendone così i pezzi più marginali, quelli più esposti alla crisi (i non garantiti). E li perde a sinistra, a favore di chi dice – a parole – di uscire dall’euro, di non pagare il debito, di distribuire reddito a tutti.

Allo stesso modo è difficile la scommessa di Monti. La disaggregazione del blocco sociale berlusconiano per dar vita ad una borghesia liberal-popolare di stampo europeo è cosa già tentata nella storia di questo Paese. Si chiama, sul piano politico, Partito d’Azione e, su quello culturale, Adriano Olivetti e la rivista “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Lo stesso Eugenio Scalfari, con L’Espresso-Repubblica, si mosse all’origine in questa prospettiva. Questi tentativi fallirono perché non poteva nascere una borghesia ‘europea’ in un quadro di potere nazionale, sostanzialmente protezionista e statalista. Oggi quel progetto può essere portato avanti, perché l’Italia è già parte di una società europea, quindi questo progetto è un qualcosa che si inserisce in un processo storico e sociale reale, non è più, come nel passato, frutto di qualche mente illuminata. Ma ha bisogno di un elemento decisivo per crescere: la nascita di un potere europeo con il quale misurarsi, al quale chiedere sviluppo e regole per competere sul piano mondiale. La contraddizione in cui si muove Monti è proprio questa: dar vita ad una borghesia ‘europea’ in Italia quando il potere europeo ancora non si manifesta nella sua pienezza.

Allora entrambi – Bersani e Monti – hanno bisogno che il potere europeo cresca perché un nuovo sviluppo ed il buon governo crescano in Europa ed anche nel nostro Paese. La battuta d’arresto del centro-sinistra ed il mancato decollo dell’area Monti sono la conseguenza di una crescita troppo lenta del ‘progetto europeo’, cosa che si ripercuote automaticamente nello sviluppo troppo lento di una “Italia europea”.

Occorre ora che il percorso sin qui condotto non venga disperso, che si trovi una formula che garantisca una governabilità dell’Italia fino all’anno delle prossime elezioni europee (2014), che questo anno venga sfruttato per lanciare una vasta mobilitazione popolare attorno al tema del “piano straordinario europeo per lo sviluppo e l’occupazione” utilizzando anche lo strumento dell’Iniziativa dei Cittadini Europei (I.C.E.).

Solo in questa prospettiva lo sviluppo può essere coniugato con il buon governo, superando così nei fatti la politica dell’austerità. E’ questo il modo, per i federalisti, di far comprendere ai cittadini, innanzitutto, che l’obiettivo della Federazione europea è anche il mezzo per salvare l’Italia.

1. Questo articolo è stato pubblicato su Eurobull in data 28 febbraio e viene riproposto ai lettori mercoledì 6 marzo 2. Fonte immagine Flickr

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