La Banca Centrale Europea e lo sviluppo economico

, di Massimo Contri

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La Banca Centrale Europea e lo sviluppo economico

In politica sembra ormai valere una legge strana: chi fa il proprio dovere viene contestato; chi invece cerca di svincolarsi in tutti i modi dai compiti che gli spettano viene sempre più osannato. Il caso della Banca Centrale Europea (BCE) è un esempio eclatante di questa regola.

La BCE per statuto è autonoma ed ha il compito di mantenere bassa l’inflazione. Il suo comportamento negli ultimi anni è stato esemplare, come riconosciuto anche da molti analisti oltre oceano che inizialmente l’avevano criticata. Noi europei molto spesso invece diamo giudizi ad occhi chiusi. Ci lamentiamo molto dell’aumento dei prezzi ma non ci rendiamo conto che il contesto economico mondiale è completamente cambiato e che viviamo in una delle aree del mondo a minor inflazione.

la BCE difende i consumatori dall’inflazione, un dovere non negoziabile

La BCE difende dunque i consumatori dall’inflazione, un dovere non negoziabile, e difende soprattutto gli strati più poveri della popolazione che maggiormente risentono dell’aumento dei prezzi. L’autonomia della BCE è inoltre un importante principio che non dev’essere messo in discussione, esso ci difende contro le tentazioni di spese senza copertura, comprese quelle per azioni militari, decise da governi e parlamenti.

In questi giorni si sentono molte critiche rivolte alla BCE perché la sua politica dei tassi andrebbe a compromettere la crescita economica. Le critiche arrivano però proprio dai governi, ai quali spetta il compito di mettere in atto le scelte che dovrebbero produrre crescita economica. I governi però stentano a fare queste scelte e preferiscono cercare un capro espiatorio al quale dare la colpa della mancata crescita.

i governi cercano un capro espiatorio al quale dare la colpa della mancata crescita

Vediamo allora cosa potrebbero fare i governi europei e le istituzioni europee per ritornare a crescere lasciando stare chi, come la BCE, sta facendo egregiamente il proprio lavoro.

Nel marzo del 2000 il Consiglio europeo di Lisbona aveva delineato un piano per rendere l’Europa del 2010 l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. A distanza di otto anni occorre riconoscere che gli obbiettivi non sono e non saranno raggiunti, come evidenziato nel rapporto Kok [1].

Facendo un passo un po’ più indietro vediamo che le misure per rilanciare la crescita in Europa erano già state definite con chiarezza nel Libro Bianco di Delors [2]del 1993. In tale libro è scritto che per realizzare la società della conoscenza era necessaria una cooperazione tra settore pubblico e privato al fine di: accelerare la costruzione delle reti di comunicazione, trasporto ed energia, accrescere la ricerca con priorità che riguardano le nuove tecnologie dell’informazione, le biotecnologie e le tecnologie ambientali, investire nell’istruzione e nella formazione.

le misure per rilanciare la crescita in Europa erano già state definite con chiarezza...

In questo studio veniva anche indicato l’obbiettivo di ridurre il costo del lavoro non qualificato tramite un netto taglio ai contributi sociali al fine di favorire l’occupazione ed i salari delle fasce più deboli della popolazione. Il finanziamento di questa grande opera prevedeva, oltre all’intervento dei capitali privati, tre canali pubblici: il bilancio comunitario, i prestiti della Banca Europea per gli Investimenti e l’emissione di obbligazioni dell’Unione (Union Bonds).

Fino ad oggi è necessario riscontrare che nonostante tutti i buoni propositi i risultati sono stati particolarmente deludenti. Le ragioni del fallimento si trovano principalmente nell’idea che questo piano potesse essere realizzato tramite il coordinamento delle politiche nazionali degli stati europei, l’idea che, senza alcuna modifica sostanziale delle istituzioni europee, si potesse procedere agevolmente sulla strada indicata prima da Delors e poi nella Strategia di Lisbona [3] . È invece ormai chiaro che un piano di sviluppo di tali dimensioni e coraggio non può essere sostenuto in mancanza di una precisa volontà politica espressa da un governo europeo.

...ma i risultati sono stati particolarmente deludenti. Un piano di sviluppo non può essere sostenuto in mancanza di una precisa volontà politica espressa da un governo europeo

I singoli governi nazionali preferiscono però continuare a mantenere formalmente quel poco di potere che rimane loro, incolpando una volta il Trattato di Maastricht, un’altra volta le manovre della BCE, per non rendere palese ai cittadini europei che la colpa di un’economia stagnante sta principalmente nella loro miope conservazione della, ormai lacerata, sovranità nazionale.

Immagine: Banca Centrale Europea. Fonte: Flickr

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Note

[1Facing the Challenge. The Lisbon Strategy for Groth and Employment. Brussels, Novembre 04

[2Crescita Competitività e Occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo. Libro Bianco Commissione Europea

[3Si veda Sviluppo economico dell’Unione europea e riforma della finanza pubblica- 2007 Collana CESI

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