L’oasi europea

Parole da Budapest

, di Federico Premi

L'oasi europea

Pensavo di lasciarmi alle spalle l’Europa entrando nell’immensa e inimmaginabile prateria magiara, la folkloristica e malinconica Putzsa.

Non era solo una questione geografica quella che mi induceva a pensare di aver finalmente abbandonato, almeno per un po’ di giorni, il “nostro” territorio, la nostra Europa, ma era anche il cambiamento meteorologico. Dal sole seppur velato che avevo lasciato in Italia ed in Austria si passava ad una finissima nebbia, leggera nel suo genere seppur così densa ed omogenea che confondeva in se stessa la vasta prateria dove liberi pascolavano cavalli e dove i boschi di un verde così scuro, quasi rimanessero per sempre immersi nella notte, si compenetravano nel cielo. Se cielo quello poteva essere chiamato.Quel netto confine tra il nostro mondo ed un “nuovo” – almeno per me – mondo, del quale avevo solamente sentito parlare e che, lo confesso, mi immaginavo completamente diverso, mi aveva indotto già ad entrare in una nuova mentalità, lontana da quella Europea, ma non direi nemmeno simile a quella del “mitico est”.

Era un’esperienza tutta nuova, una mentalità da capire e delle sensazioni da provare. Questo era il mio stato d’animo prima di entrare nella grande capitale Ungherese, Budapest. Così lontana eppure così vicina, sembra un banale gioco di parole…invece è stata questa la prima impressione che ne ho avuto. Quando da noi il mese di marzo aveva già fatto mettere da parte il guardaroba invernale a Budapest scendeva dal cielo un nevischio piacevole, che era del tutto proprio della città. Eppure, in questa atmosfera molto topica, ho capito ben presto che non avrei mai potuto godermi la città se avessi dimenticato il mio “passato” europeo, che invano avevo creduto di dover cancellare durante il viaggio a Budapest.

O meglio il viaggio nelle due città (Buda e Pest) divise dal Danubio, che non possono essere considerate città a noi estranee, poiché racchiudono in loro stesse quel segreto storico, politico ed artistico proprio delle più belle capitali europee.Ed il segreto sta proprio in quel fantastico fiume, il Danubio, che geograficamente le tiene divise, ma che di fatto le ha unite nel 1873 per offrire poi alla città nel suo insieme uno straordinario sviluppo economico ma soprattutto artistico.Mi chiedo come non ci fossi arrivato prima. Lo stesso fiume di Vienna portava in se stesso l’incanto della capitale dell’impero austriaco lasciando sulle rive di Budapest passioni e sentimenti di un’Europa in piena attività, creando così nell’Ungheria dimenticata una florida oasi di arte, di sapere, di bellezza estetica e di lusso. Per me Budapest si è rivelata un ossimoro letterario, la contrapposizione integrata perfettamente tra l’inevitabile “tristezza magiara” della gente e l’effervescenza della metropoli in sviluppo.

Se mi avessero chiesto, durante il mio soggiorno nella capitale, in che anno fossimo, avrei risposto sicuramente nel 1801…avevo lasciato a casa 200 anni di storia. L’immagine della città attuale infatti definita tra il XIX e XX secolo, facendo un confronto con quell’epoca, ho l’impressione non offra molto di nuovo ai visitatori della città, tanto che credevo di trovarmi non solo in un altro luogo, quanto in un altro tempo. Purtroppo quell’incanto che mi faceva rivivere le stesse sensazioni di Vienna con il suo Danubio e di Praga con la Moldava, si è rotto quando ho oltrepassato la terza arteria anulare della città, ovvero quando mi sono avventurato nella periferia che stringe d’assedio con i suoi palazzi-dormitorio il centro storico. Niente a che fare con la città meravigliosa, ricca di palazzi dello stesso stile e della stessa epoca, che rivela le sue quinte – quando il tempo lo permette! – nello scenario dei monti, con al centro il Danubio che muove i suoi flutti con dignità. Apparentemente fuori mano come locazione geografica, vedevo e sentivo nella città un’aria familiare, quell’aria Mitteleuropea racchiusa negli edifici stessi, nei parchi favolosi, nei monumenti, nello stesso fiume, ma soprattutto racchiusa in ogni angolo della città che sembrava adatto ad accogliere ora la poesia, ora un dipinto, un racconto, ora l’impressione di qualche artista.

... dice Magris: Budapest è la mimesi di una mimesi; forse anche per questo assomiglia alla poesia nell’accezione platonica, il suo paesaggio suggerisce, più che l’arte, il senso dell’arte ...

“Se la Vienna moderna imita la Parigi del barone Haussmann, con i suoi grandi boulevards, Budapest imita a sua volta questa viennese urbanistica di riporto, è la mimesi di una mimesi; forse anche per questo assomiglia alla poesia nell’accezione platonica, il suo paesaggio suggerisce, più che l’arte, il senso dell’arte” [C.Magris]. Io stesso l’ ho capito quando, dopo essere salito nella Cittadella posta sulla collina della capitale ho visto in Budapest non tanto una bellezza aderente, una piacevole sensazione destinata ad andarsene, destinata a svanire con le acque del Danubio che raccontano la storia della città quando si gettano nel lontano Mar Nero, bensì un punto fermo della storia, un eterno riassunto di un epoca, un blocco uniforme e magnifico di emozioni, di vite, di vicende, immerse tutte in quegli sguardi sfuggenti, quasi tristi e rassegnati – incuranti del bene che posseggono – del popolo magiaro. Quasi fosse il prototipo della città splendida, quasi fosse fuori dal tempo, Budapest mi rendeva finalmente un “suchende” (l’uomo che cerca, come denomina H.Hesse il suo Siddharta) appagato.

... la città si era rivelata parte di me ...

In quegli attimi di beatitudine passati sul Danubio avevo trovato il giusto equilibrio con me stesso: ero a casa ma non lo ero, avevo la bellezza davanti a me e la comprendevo, ero soddisfatto, persuaso, sentivo un’assoluto beato trasportarmi in un tempo migliore, sembrava quasi che quella città fosse per me la sfera perfetta che tutti nel rinascimento cercavano di creare, quella totalità impossibile da cogliere lìavevo trovata proprio in un paese che credevo essere completamente estraneo alla mia vita. La città si è rivelata invece parte integrante di me, tanto da costringermi non solo a scrivere un racconto ivi ambientato, ma da dedicare ad essa anche una poesia.

Fonte dell’immagine Flickr.com - Elin B

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