L’Europa verso un nuovo inizio?

, di Franco Spoltore

L'Europa verso un nuovo inizio?

L’autoesclusione della Gran Bretagna dall’accordo con cui la Germania e la Francia hanno voluto segnare l’avvio del rafforzamento dell’Unione monetaria indica che si è consumata una rottura di enorme peso politico, e che si può aprire una nuova fase del processo europeo.

Con questa rottura si è de facto creato un nuovo quadro attorno al progetto dell’Unione monetaria, fiscale e di bilancio. Rimane però ancora molto lavoro politico da fare per costruire effettivamente la nuova Unione. Il problema non riguarda tanto i limiti che ancora sussistono negli strumenti concordati per affrontare l’emergenza dei debiti sovrani. Questa (per quanto importante) è una preoccupazione che investe in generale i mercati finanziari, ma per gli europei in particolare essa è indicativa soprattutto della necessità di costruire, a breve-medio termine al massimo (ossia in un orizzonte temporale di non più di un paio di anni), andando oltre il nuovo Patto di stabilità, una vera unione fiscale e una piena unione politica.

L’accordo sancito prevede nuove regole e indica gli strumenti per imporle agli Stati: questi ultimi, dopo averle sottoscritte, perdono in qualche modo il potere di decidere le rispettive politiche economiche e di bilancio, accettando sia l’imposizione di sanzioni pressoché automatiche sia di farsi commissariare in caso di inadempienza. Una cessione sostanziale di sovranità che questa volta probabilmente sarà reale a tutti gli effetti (al contrario di quando, in passato, gli sforamenti delle regole di Maastricht su deficit e debito erano stati “condonati” da deroghe ad hoc concordate di volta in volta dagli stessi governi nazionali), pena l’attacco dei mercati a tutto il gruppo di paesi che hanno deciso di sottoporsi a questi controlli. Questo stato delle cose rafforzerà i sistemi di vigilanza reciproca tra i vari paesi ma, in assenza di un salto verso l’unità politica, non risolverà né il problema della solidarietà, né quello dello sviluppo e neppure quello della legittimità democratica del nuovo sistema europeo.

La prima questione, quella della solidarietà, è evidente: se non si arriva ad un quadro statuale comune, si è costretti a continuare ad esercitare la solidarietà sulla base della cooperazione volontaria tra paesi con diversi gradi di sviluppo e con differenti risorse di bilancio e capacità produttive, per quanto interdipendenti e integrati.

Sullo sviluppo, la mancata esecuzione, ad oggi, dei piani a più riprese adottati dimostra che senza risorse e capacità di governo a livello europeo i progetti o rimangono in gran parte lettera morta oppure vengono piegati alle esigenze nazionali dei diversi paesi, anche perché gli investimenti di ciascun paese in un mercato unico vanno in larga parte a beneficio dei partner.

L’ultimo punto, quello della legittimità democratica, è anch’esso evidente la necessità politica di giustificare agli occhi dell’opinione pubblica lo svuotamento delle prerogative dei rispettivi parlamenti nazionali nel controllo dei bilanci e nella definizione delle politiche economiche.

Il nodo della legittimità democratica, insieme a quello del rilancio su nuove basi dello sviluppo, è quindi quello decisivo da sciogliere per far compiere al processo europeo il salto di qualità di cui necessita per superare tutte le sue attuali contraddizioni e fragilità. In che direzione bisogna muoversi? Un esecutivo europeo, dotato di poteri limitati ma effettivi e del controllo di risorse autonome europee, legittimato dal voto dei cittadini e responsabile di fronte ad un parlamento democratico europeo nella pienezza dei suoi poteri legislativi, potrà nascere solo dalla trasformazione del Consiglio in una Camera alta degli Stati e da una riforma del Parlamento europeo in una Camera bassa eletta sulla base di una legge elettorale uniforme e rappresentativa dei cittadini della nuova Unione – in cui quindi viga la regola democratica “one man one vote” e sia sanato il vulnus attuale denunciato dalla Corte costituzionale tedesca. Potrà, in altre parole, solo essere il frutto di un processo costituente democratico attraverso il quale gli Stati che hanno accettato, o avranno accettato, l’abbandono della sovranità monetaria e saranno disposti a trasferire quella in campo fiscale, costruiranno una nuova sovranità europea, con il coinvolgimento ed il supporto di un’amplissima parte dell’opinione pubblica. Questo implica superare il metodo comunitario.

In questa prospettiva, posto che il traguardo federale deve costituire il punto di arrivo del processo affinché l’unità possa essere davvero irreversibile e solida, come può evolvere e rafforzarsi il governo provvisorio della nuova Europa che i governi hanno tenuto a battesimo nei giorni scorsi a Bruxelles?

La questione è sicuramente complessa, ma va affrontata senza indugi. E per farlo devono essere chiari sia l’obiettivo finale sia la necessità di superare le false soluzioni comunitarie, ormai impraticabili. Un dato è certo: dopo il vertice di Bruxelles governi, istituzioni e partiti non potranno più nascondersi dietro l’alibi dei veti della Gran Bretagna per giustificare ulteriori difficoltà nel procedere sulla strada della federazione europea.

Il tempo stringe: se si vogliono salvare l’euro e il progetto europeo e rovesciare le attuali difficoltà trasformandole in una chance per un nuovo futuro di progresso chiunque creda in questi obiettivi deve impegnarsi a dar corpo alla nuova realtà. E’ per affrontare queste emergenze che il Movimento Federalista Europeo ha invitato i rappresentanti dei partiti politici, delle forze sindacali e delle organizzazioni della società civile ad una Convenzione per la federazione europea a Roma il 14 gennaio prossimo (al Teatro Capranica, dalle 10 alle 13 del mattino, www.facebook.com/movimentofederalistaeuropeo).

Questo articolo è la versione italiana dell’articolo «Fédération européenne, maintenant ! L’objectif fédéral doit constituer le point d’arrivée du processus d’intégration européenne» pubblicato da Le Monde il 5 gennaio.

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