L’Europa è davvero spacciata?

, di Giorgio Anselmi

L'Europa è davvero spacciata?

Nelle italiche contrade anche chi non segue il calcio è costretto a sorbirsi una dose quotidiana di cronache, giudizi, titoli, litigi, polemiche. Al bar, in treno, sui luoghi di lavoro. Ebbene, nelle prime fasi del campionato del mondo ho orecchiato una serie impressionante di valutazioni negative sulle squadre europee: vecchie, incapaci di correre, bolse, senza estro, ricche e stanche. Specchio fedele di un continente malandato, decrepito, in via di estinzione. E giù paragoni con i sudamericani fantasiosi, con gli africani instancabili, persino con gli atletici neozelandesi o con i volonterosi coreani.

Sono passati 20 giorni. Ieri i tedeschi hanno conquistato il terzo posto contro i valorosi uruguaiani. Mentre scrivo olandesi e spagnoli si disputano il titolo mondiale. Ma l’Europa calcistica non era data per cotta e finita? Se ne riparlerà tra quattro anni. Nel frattempo le lagne si sposteranno su altri fronti: la politica, l’economia, la scienza, la cultura. Sempre per dire che siamo ormai spacciati. Basti pensare alle alterne vicende della moneta unica: se l’euro perde valore, è il segno evidente di una scelta sbagliata e controproducente; se l’euro si rafforza, le nostre esportazioni sono condannate.

Sarà forse per la nostra storia. Abbiamo bisogno di uno spauracchio per farci coraggio e superare le prove più ardue. Hanno cominciato i Greci con i Persiani. Più tardi i Romani con i Parti e i Germani. Il pericolo sono diventati poi gli Arabi e i Turchi. Passando dalla memoria storica a quella individuale, chi scrive ricorda bene le allarmate analisi dei sovietologi sull’espansionismo russo nell’era brezneviana. Invece erano

... sarà forse per la nostra storia ...

gli ultimi soprassalti di un regime in agonia, come si vide poi nella brevissima stagione gorbacioviana. Con l’Urss ormai in disgregazione cominciò allora il mito del Giappone: toyotismo, just in time, qualità totale. Un modello da copiare o almeno da imitare. Qualche coraggioso arrivò persino a propinarci l’idea che il successo del Sol Levante fosse dovuto ad un sistema liberal-democratico senza alternanza di governo. Si sa come è andata a finire: il Giappone si dibatte da vent’anni in una crisi senza vie d’uscita. Esasperati, i poveri giapponesi hanno persino mandato a casa l’eterno partito di governo, ma nemmeno l’alternanza sembra funzionare. Per pietà dei suoi corifei, anche nostrani, lasciamo perdere quanto s’è detto e scritto sui trionfi del modello anglosassone, oggi coperto d’ignominia per la montagna impressionante di debiti, artifici contabili e vere e proprie truffe su cui ha costruito i suoi effimeri successi. Ora è la Cina a tener banco. Secondo altri, meglio parlare di Cindia. Se si vogliono mettere insieme tutte le nuove potenze emergenti, ecco pronto un nuovo acronimo: BRIC. Intendiamoci. I federalisti europei subito dopo la caduta del Muro di Berlino hanno definito illusoria la pretesa americana di un mondo unipolare. Quella che Francis Fukuyama ha riassunto in una formula tanto fortunata quanto errata: la fine della storia. La quale invece non è finita. Gli stessi americani hanno dovuto prenderne atto, mandando in soffitta il G8 e sostituendolo con il G20. Secondo la legge di Aragon formulata da Arthur Bloch, funzione del genio è fornire idee ai cretini vent’anni dopo. Parlare oggi di mondo multipolare, fine della centralità occidentale, nuovo equilibrio mondiale è solo una stucchevole banalità. Aggiungere che il mondo di domani sarà dominato dalla Cina, che assisteremo ad un nuovo scontro di civiltà, che i diritti umani non sono destinati a sopravvivere, che la democrazia sarà cancellata dai sistemi autoritari è solo un triste refrain delle ideologie reazionarie del passato.

L’Europa non è affatto messa peggio di altre aree del mondo. Le agitazioni operaie in Cina dimostrano che il gigante asiatico si trova ad affrontare i problemi che hanno accompagnato lo sviluppo industriale europeo e americano. I conflitti etnici e religiosi che ogni tanto insanguinano l’India rivelano le enormi sfide cui è sottoposto quel subcontinente. L’America Latina, se non riesce a trovare

... l’Europa non è affatto messa peggio di altre aree del mondo ...

la strada di un’unificazione democratica, rimane soggetta alla costante minaccia di regimi populistici e autoritari. Parlare di democrazia, economia di mercato e diritti umani in Russia è davvero fuori di luogo. Gli stessi Stati Uniti, oltre a ripensare al proprio ruolo nel mondo, saranno costretti ad una profonda revisione del proprio modello economico e sociale. Non oso davvero fare previsioni su chi vincerà il prossimo campionato del mondo di calcio, ma scommetto che riusciremo a salvare l’euro e a dotare l’Eurozona di un governo dell’economia. Non dispero nemmeno che si riesca a mettere in piedi un nucleo federale attorno a Francia e Germania. Forse prima di quanto si creda.

L’articolo è comparso sulla rivista «Stati Uniti d’Europa».

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