Il 9 maggio è festa dell’Europa: si celebra infatti l’anniversario della Dichiarazione Schuman, pronunciata nel 1950 dall’allora Ministro degli Esteri francese Robert Schuman. Il 9 maggio è considerato, dunque, la data prodromica del primo nucleo di integrazione europea, la CECA – Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Tutto ciò fa parte della cultura generale di un cittadino europeo.
E’ tuttavia, è forse poco conosciuto (o forse, non da tutti) un passaggio centrale di quella Dichiarazione, solo superficialmente leggibile come una proposta di natura economica; senza questo passaggio, si misconosce l’obiettivo vero, la visione, l’essenza non solo della costituzione della CECA, ma di qualsiasi progetto futuro e futuribile di integrazione europea:
“La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile”.
Inutile ricordare come l’area renana, tra Francia e Germania, sia stata, nei secoli, la zona più dissanguata d’Europa: così nella prima e nella seconda guerra mondiale, passando per la guerra franco-tedesca del 1871 e ricordando la Guerra dei Trent’anni nel ‘600. Sappiamo, dunque, che la costruzione di un’unione dei popoli europei doveva necessariamente passare attraverso questo confine franco-tedesco; il quale è caratterizzato, fra l’altro, da una cospicua presenza di giacimenti e miniere, cuore della produzione di un’industria pesante.
Poco sopra il passaggio menzionato, la Dichiarazione Schuman preconizza l’impossibilità di costruire un’Europa in un unico tempo: “Essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. La “realizzazione concreta”, che precedette ogni progetto europeo, fu quella di “mettere insieme la produzione”, francese e tedesca, di carbone e acciaio: non dunque (principalmente) un trattato di comune sviluppo economico; ma la costruzione di una pace di fatto, come impossibilità dei conflitti, attraverso il controllo degli elementi economici che, pragmaticamente, la possono condizionare. La Dichiarazione Schuman sembra così asserire, attraverso l’auspicio di una “solidarietà di produzione”: io nazione (francese, tedesca, eccetera) tolgo a me stessa la possibilità (economica) di essere causa di una qualsiasi guerra futura.
Dunque, già il primo nucleo europeo della CECA (che nasce un anno dopo l’ispirazione ricevuta da questa Dichiarazione), non è affatto un trattato economico tra stati: è un trattato per una pace perpetua, attraverso le condizioni economiche che la determinano. Questo deve essere ben presente dalla storia dell’Unione Europea: nel suo nucleo originario, essa non nasce come trattato (meramente) economico. Indubbiamente, possiamo discutere sulle motivazioni vere che mossero il governo francese a ricercare questa desistenza con la Germania: la necessità di porsi come interlocutore principe degli Stati Uniti d’America in Europa, la situazione generale dell’Occidente allora contrapposto al blocco sovietico, eccetera. Tuttavia, di fatto, la Dichiarazione Schuman si pone, pubblicamente, come un esperimento di pace internazionale tra i popoli: le intenzioni private sono illeggibili, le dichiarazioni pubbliche restano lettera scritta.
Sappiamo come si concluse quest’appello alla Germania per la costituzione di una “Alta Autorità europea”: non solo risposero la Germania e i paesi del Benelux; ma anche l’Italia di De Gasperi, probabilmente a causa della sua necessità, dopo la guerra, di porsi nuovamente al centro dell’economia del continente europeo, sottoscrisse il trattato. Il quale, insieme a tutti i trattati europei succedutisi (noi federalisti lo ripetiamo da cinquant’anni con pedanteria), non concepiscono l’Europa come un’unione (meramente, superficialmente e nocivamente) economica,ma prima di tutto come un’unione politica.
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