Il piano di Ahtisaari per lo status futuro del Kosovo: un’analisi critica (II)

, di Luca Trinchieri

Il piano di Ahtisaari per lo status futuro del Kosovo: un'analisi critica (II)

Sovranità controllata: in cosa consiste?

La proposta di Ahtisaari si può sintetizzare nella formula “sovranità controllata”, una definizione ambigua che in sostanza apre la strada per una futura indipendenza del Kosovo, mantenendo però per un certo periodo alcune prerogative in mano alla comunità internazionale. Un compromesso che anche l’UNOSEK (l’Ufficio dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite per lo Status del Kosovo) sapeva che non avrebbe soddisfatto alcuna delle due parti [1]. Nessuna sorpresa, dunque, dalle reazioni di Belgrado (“La formula della sovranità controllata serve solo a mascherare l’indipendenza del Kosovo, che non accetteremo mai”), e di Pristina, che ha chiarito che la propria interpretazione della formula è “un’indipendenza da subito”.

In sostanza la Missione delle Nazioni Unite in Kosovo si ritirerebbe lasciando molte delle proprie funzioni direttamente al Governo del Kosovo. Contemporaneamente verrebbe creato un International Civil Office (ICO) guidato dall’Unione europea con il ruolo di supervisionare l’applicazione dello status e non più di legiferare come è stato in questi anni. L’UE ha iniziato i preparativi per gestire questo passaggio all’inizio del 2006, costituendo in aprile lo “EU planning Team for Kosovo” con il compito di disegnare la nuova missione.

Ma sui limiti di questo ruolo di controllo le interpretazioni sono molto diverse e sono oggetto di un continuo dibattito. I vertici di UNMIK (la Missione dell’ ONU in Kosovo) enfatizzano la portata del ritiro della comunità internazionale, facendo intendere che il governo kosovaro avrà ampi poteri e l’Europa, per bocca del diplomatico svedese Torbjörn Sohlström [2], capo dell’ICO Preparatory Team, precisa: “Ora UNMIK è letteralmente padrone di tutto quello che succede in Kosovo, e questo è quello che cambierà con il nuovo status”. L’UE ha tuttavia fatto capire che si riserva prerogative tutt’altro che marginali. È sempre Sohlström, attraverso una metafora calcistica, a chiarirne i termini: “La comunità internazionale si appresta a lasciare il ruolo di presidente della squadra per assumere quello di allenatore”. Detto diversamente, però, “l’UE avrà il potere di dimettere i vertici del Governo kosovaro se valuterà che essi non rispettano l’applicazione dello status, ed avrà potere di veto nelle materie ad esso correlate come la protezione delle minoranze, la decentralizzazione amministrativa e lo stato di diritto”.

La classe politica kosovara minimizza i poteri dell’ICO e vive già nell’illusione dell’indipendenza. Secondo il vice-Primo Ministro Haziri [3]“non è corretto parlare di alcun potere di veto”. Ma la società civile ha espresso le proprie perplessità e teme che in realtà l’ingerenza della comunità internazionale non venga meno. Il Movimento “Lëvizja VETËVENDOSJE!” (“autodeterminazione”, in albanese) ha ripreso provocatoriamente la metafora di Sohlström chiedendosi chi sia a questo punto il padrone della squadra.

Perché se i padroni sono finalmente i kosovari, allora essi dovrebbero anche avere il potere di dimettere l’allenatore. Altrimenti vuol dire che l’allenatore continua a fare anche il presidente.

Il movimento, protagonista negli ultimi tempi di azioni spettacolari contro l’UNMIK e recentemente vittima di una violenta repressione da parte della polizia delle Nazioni Unite [4], si batte contro la proposta di Ahtisaari e mette in guardia dalle possibili conseguenze di una sua applicazione. Come spiega Albin Kurti [5], leader della protesta, oltre al problema dei poteri che rimarranno in mano all’ICO, “a preoccupare è il progetto di decentralizzazione inserito nel piano dell’UNOSEK: se verrà applicato, esso rischia di generare tensioni incontrollabili tra la popolazione albanese e quella serba, portando ad una palestinizzazione del Kosovo. Questo è quello che vogliamo evitare, ma per farlo bisogna bloccare l’implementazione dello status”.

La delicata questione della decentralizzazione

Il secondo aspetto centrale nel piano di Ahtisaari è la decentralizzazione amministrativa. Una decentralizzazione che vuole garantire alla minoranza serba, oggi raccolta in enclavi soprattutto nel nord del paese e fortemente legata al governo di Belgrado, un’autonomia da Pristina nel nuovo Kosovo “indipendente”. Alle 5 municipalità attualmente a maggioranza serba ne verranno create in aggiunta altre 8.

Mappa della decentralizzazione amministrativa in Kosovo. Fonte: Lëvizja VETËVENDOSJE!

La comunità serba guarda al progetto alternando alla diffidenza la speranza di rimanere sotto l’influenza di Belgrado. Buona parte della popolazione albanese, invece, accecata dalla luce dell’indipendenza e convinta che con essa tutti i problemi scompariranno da un giorno all’altro, non presta molta attenzione alla questione della decentralizzazione. Tuttavia gli argomenti di Kurti appaiono fondati: “la logica di questa decentralizzazione è esclusivamente su base etnica, gli albanesi da una parte, i serbi dall’altra, e le nuove municipalità finiranno per tagliare i contatti tra alcune zone a maggioranza albanese e il resto del paese (vedi mappa). È in queste zone che il rischio di tensioni tra le parti sarà maggiore. E da una scintilla può nascere un nuovo incendio”.

Un errore che non solo potrebbe costare caro alle prospettive di convivenze pacifica, ma che, secondo un altro leader di Lëvizja VETËVENDOSJE!, “rispecchia in buona parte i piani della Serbia per la partizione del Kosovo” [6]. Un progetto, quello della divisione territoriale, a cui Belgrado non ha mai nascosto di ambire (il nord del paese dentro i confini serbi, e un Kosovo indipendente dai confini ridotti) e che alla minoranza serba piacerebbe. Ma che la comunità internazionale ha sempre considerato un’opzione fuori discussione: vorrebbe dire ammettere che otto anni di presenza della Nazioni Unite a Pristina non sono bastati a creare le fondamenta per uno stato multietnico. Accettare il fallimento e andare tutti a casa.

Naturalmente l’UNOSEK non dà credito alle previsioni funeste di Lëvizja VETËVENDOSJE!, ribadendo che la proposta è equilibrata e non porterà ad alcuna partizione del Kosovo. La stessa posizione che assume il governo di Pristina: secondo Haziri “la decentralizzazione amministrativa servirà appunto a prevenire che questo avvenga” [7]. C’è solo da augurarsi che abbiano ragione.

L’immagine di apertura è proprietà dell’autore dell’articolo.

La seconda immagine è di fonte Flickr

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Note

[1Questo è stato il giudizio raccolto personalmente in un intervista svolta a Venezia nel mese di dicembre con un alto funzionario dell’UNOSEK che ha chiesto di non rivelare la propria identità.

[2Intervista dell’autore a Torbjörn Sohlström, Head of the Office, ICO Preparatory Team, Pristina, 14 dicembre 2006.

[3Intervista dell’autore a Lufti Haziri, Ministro per la Gestione del Governo Locale e vice-Primo Ministro del Governo Provvisorio del Kosovo, Pristina, 19 dicembre 2006.

[4Il 10 febbraio scorso alcune centinaia di manifestanti hanno cercato di avvicinarsi alla sede del Governo e di superare le barriere protettive. La situazione è completamente sfuggita di mano alle forze di polizia, che hanno utilizzato pallottole di gomma contro la popolazione, sparando ad altezza d’uomo. Nessuno dei manifestanti era armato. Due di loro sono morti a causa dei danni provocati dalle pallottole, 82 sono rimasti feriti di cui uno molto gravemente. Trenta manifestanti sono finiti in carcere.

[5Intervista dell’autore ad Albin Kurti, Pristina, 16 dicembre 2006. Attualmente Kurti è in carcere in seguito ai fatti del 10 febbraio con l’accusa di incitazione alla violenza. Vi rimarrà per almeno trenta giorni. Un modo semplice per toglierlo dalla circolazione nel momento del voto sullo status. Ma certo non il migliore esempio che l’ONU può dare in tema di stato di diritto.

[6È quanto dichiarato da Glauk Konjufca. Si veda «RFE/RL Newsline,» March 5 and February 5, 2007, URL http://www.rferl.org/newsline/4-see.asp.

[7Intervista dell’autore a Lufti Haziri, Pristina, 19 dicembre 2006.

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