Il Governo Monti era davvero così «europeo»?

, di Dario Sabbioni

Il Governo Monti era davvero così «europeo»?

Pare che il futuro governo avrà un programma breve, conciso, «istituzionale». La base di policy su cui chiunque verrà chiamato a farsi insultare per i(l) prossimi/o anni/o è quella suggerita dai due documenti preparati dai dieci saggi. Una questione importante, oggi come nei due anni di interregno montiano, è ed è stata l’Europa. Eppure poche parole sono spese (quasi zero nel documento sulle riforme istituzionali) per parlare del rapporto dell’Italia con l’Unione europea. Da novembre 2011, si sa, tutto ciò che riguarda le politiche europee è in mano a Enzo Moavero Milanesi, grand commis di Stato dal forte nerbo eurocratico: candidatosi nel Lazio con Scelta Civica, non è stato eletto.

Le credenziali europee del governo Monti erano immacolate: lui ex Commissario europeo, Moavero stesso ex consigliere nel Bureau of European Policy Advisors, uno dei più «impastati» (nel senso delle mani in pasta) organi istituzionali europei. Un posto dove lo spoils system regna sovrano. Il fine di questo articolo è di scardinare una delle credenze su cui si è basata la propaganda positiva e negativa sul Governo Monti negli ultimi due anni, ovvero che fosse un governo imposto da Bruxelles grazie ai suoi tentacolari poteri di nomina in una fredda giornata del novembre 2011. C’erano tutti i crismi del caso: figure algide di burocrati di Stato, personaggi austeri che sembravano usciti tutti dalla Casta meno conosciuta, quella dei grandi dirigenti, dei grandi professori, dei grandi Eurocrati. No, un attimo, quest’ultima non è proprio vera. Con l’Europa burocratica non c’azzeccavano proprio nulla. Basta guardare il passato dei loro ministri.

Giulio Maria Terzi di Sant’Agata, ambasciatore negli USA, in Israele, rappresentante all’ONU, l’Europa l’ha vista raramente. Staffan de Mistura, personaggio di grande levatura internazionale, si è occupato più di crisi internazionali in posti dimenticati dalla grande opinione pubblica che di sottigliezze europee. La stessa Marta Dassù, che completa il trittico degli Esteri, da Direttore Generale della sezione italiana dell’Aspen Institute e da grande conoscitrice della visione della politica internazionale nel Belpaese ha lavorato molto sulle relazioni transatlantiche, meno su quelle intraeuropee.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, sempre sensibilissimo, è andato alla Fornero, che ha lavorato una volta in una task force del Center for European Policy Studies (CEPS) all’inizio degli anni Duemila, ma poi è rimasta ben salda in Italia, mantenendo l’insegnamento a Torino.

Di Giustizia e Interno, non parliamone: Cancellieri e Severino sono sì state ottimi ministri, tanto da venire poi fuori in alcune liste di nomi per un’eventuale elezione alla Presidenza della Repubblica, ma non hanno mai avuto celebrità al di fuori del suolo patrio. La prima ha avuto modo di farsi conoscere in metà delle città italiane come commissario prefettizio, ma, come diceva un tweet cattivello di Marco Taradash in questi giorni [1], non aveva tante possibilità di elezione al soglio più alto della Repubblica.

La seconda, da grande avvocato oltre che Preside della Facoltà di Giurisprudenza della LUISS di Roma, ha difeso molte figure di spicco nel panorama politico e finanziario italiano, ma non ha mai messo piede nei freddi templi del diritto comunitario.

Unica eccezione, forse, il Ministro dell’Agricoltura Mario Catania, esperto di Politica Agricola Comune (PAC); cosa che richiede una notevole dose di attenzione al dettaglio, dedizione e minuziosità, altrimenti si rischia facilmente di perdere la bussola. Ornaghi, Balduzzi, Passera e Profumo, lo stesso Barca, a loro volta, non sono legati in alcun modo all’establishment di Bruxelles, ai principali funzionari della Commissione.

È quindi un mito che sarebbe bello sfatare, quello di un Governo «europeizzato»: sì, certo, c’è Monti. Ma nessun altro membro del suo esecutivo ha mai preso per oro colato le indicazioni europee, né tantomeno ha mai avuto legami «istituzionali» con l’Unione europea. Ci si ricorda bene della fine del mitico Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari Olli Rehn (ricordiamoci sempre del bellissimo live blog sul Corriere di Maria Laura Rodotà [2]), dagli albori durante gli ultimi giorni del Governo Berlusconi al silenziamento successivo. I governi tecnici «imposti» da Bruxelles non hanno mai davvero subito quell’ingerenza che è stata fatta passare nell’opinione pubblica: Papademos in Grecia era l’unico vero tecnico, come Jan Fischer in Repubblica Ceca.

Sarebbe quindi giusto ripristinare un giudizio equo sul Governo Monti, governo del tutto italiano, ma con agende (e «letterine») europee.

1. L’articolo è stato inizialmente pubblicato su Kodeuropa - Linkiesta

2. Fonte immagine Commons.wikimedia

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Note

[1@simonespetia Un prefetto obbedisce. Un presidente a chi? — marco taradash (@mrctrdsh) April 19, 2013

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