Albania: cento di questi anni (?)

, di Matteo Sabini

Albania: cento di questi anni (?)

Il 28 novembre di cento anni fa un gruppo di patrioti – molto ristretto a dir la verità – proclamò l’indipendenza di un nuovo Stato: l’Albania. La dichiarazione di Qemali, fatta quel giorno a Valona, si inserì in uno scenario complesso e particolare. Innanzitutto in quella che era una grande e non ben distinta provincia all’interno dell’Impero Ottomano (che oltre al territorio dell’attuale Albania comprendeva anche il Kosovo, la Macedonia, Corfù e la Ciameria) non c’era stato un corposo e diffuso movimento nazionale, poiché l’Albania era prevalentemente un Paese di contadini ed allevatori, con una ristrettissima classe borghese. Inoltre la dichiarazione avvenne durante il primo conflitto balcanico, quando il Paese era teatro di scontro dei vari contendenti regionali ed il territorio del nuovo Stato era concentrato nelle vicinanze di Valona.

L’Albania, come la conosciamo noi oggi, è nata con le conferenze di pace seguite ai due conflitti balcanici, quando le grandi potenze europee tracciarono i confini del nuovo Stato per frenare le mire espansionistiche dei vicini (greci, serbi, montenegrini e bulgari: ognuno aveva un pezzetto d’Albania da rivendicare) e scongiurare una nuova guerra, che poi però scoppiò nell’estate del 1914. Ma non si limitarono a ciò: le grandi potenze scelsero sia la forma di governo – la monarchia – sia chi mettere a capo del nuovo Stato – un principe tedesco che nulla aveva a che fare con l’Albania.

La storia del Paese delle Aquile è stata in questi cento anni controversa, sofferente e, per certi versi, stramba: la fuga del re Guglielmo Weid nel 1914 dopo soli sei mesi di governo; l’occupazione italiana; la creazione di una repubblica indipendente dopo il primo conflitto mondiale; il golpe di Zogu che, dopo essersi nominato re, strinse legami fortissimi con Mussolini; l’invasione italiana del ’39 e la concessione della corona a Vittorio Emanuele III; l’occupazione del territorio da parte di numerosi eserciti durante la seconda guerra mondiale e, alla sua conclusione, la nascita della Repubblica socialista di Enver Hoxha. E fu solo con il dittatore comunista che l’Albania trovò una certa stabilità, a costi altissimi in termini di terrore e autoritarismo: stabilità per giunta solo interna, dato che nelle relazioni esterne riuscì a litigare con tutti gli Stati comunisti, oltre che con i vicini nemici di sempre – jugoslavi (serbi in particolare) e greci. Fu così che prima ci fu lo strappo con la Jugoslavia, poi con l’Urss ed infine con la Cina: Enver Hoxha costrinse allora il Paese al più totale isolamento, distruggendo la già debolissima economia albanese, irrigidendo il controllo autoritario e disseminando piccoli bunker su tutto il territorio – ve ne erano più di 600.000 su una popolazione di circa 3 milioni alla fine degli anni ’80 – con lo scopo di fronteggiare improbabili invasioni.

Quando finì il comunismo, all’inizio degli anni ’90, il mondo riscoprì l’Albania e per primi lo facemmo noi italiani, poiché questa rappresentò un problema riassunto da due parole: immigrazione e criminalità. Le grandi ondate migratorie impegnarono Roma in missioni di pace e generarono un diffuso senso di paura – e spesso di xenofobia – in tutta Italia, ponendo il Paese delle Aquile in cima alle priorità dei vari governi italiani di quegli anni. La situazione esplose nuovamente nel 1997, quando in Albania fallirono le piramidi finanziarie che avevano generato una ricchezza effimera presso le famiglie che, di punto in bianco, si ritrovarono sul lastrico: la conseguenza fu l’anarchia ed il rischio di una guerra civile tra socialisti e democratici, rispettivamente sud e nord del Paese. Ancora una volta fu una missione italiana a risolvere la situazione, che si riaccese qualche mese dopo con lo scoppio del conflitto in Kosovo.

Poi di nuovo l’oblio. Conseguenza, questa, dell’11 settembre 2001: dopo l’attentato di New York, infatti, le potenze mondiali decisero di concentrarsi maggiormente sulle problematiche mediorientali, dimenticandosi di fatto dei Balcani, che invece furono alla ribalta per tutti gli anni ’90. Ma cosa è rimasto oggi dell’Albania?

Un Paese estremamente corrotto che sogna di essere occidentale e le cui classi dirigenti aspirano all’Europa. Già, perché l’Albania di Sali Berisha, ex medico personale di Hoxha e capo storico dei democratici, è tutto fuorché un Paese pronto per essere definitivamente integrato nell’Unione. Nei report fatti annualmente dalla Commissione al Parlamento ed al Consiglio Europeo circa la strategia di allargamento, si evidenzia sempre come la corruzione sia dilagante in Albania e di come spesso non vengano rispettate le caratteristiche basilari della democrazia; un discorso in particolare va fatto per i diritti politici e per il tema delle consultazioni elettorali. Le elezioni parlamentari del 2009 furono contestate dai socialisti, che denunciarono brogli ed anomalie messe in atto dai democratici: ciò convinse gli oppositori di Berisha, guidati dall’allora sindaco di Tirana Edi Rama, a non prendere parte ai lavori parlamentari fino al 2010. La tensione esplose nuovamente nel gennaio del 2011, quando alla manifestazione di protesta dei socialisti davanti al Palazzo del Governo, organizzata per contestare l’ennesimo caso certificato di corruzione di membri dell’esecutivo, la polizia sparò sulla folla uccidendo quattro persone. Il clima rimase caldo anche per via delle elezioni amministrative di maggio, che, dopo anomalie, accuse di brogli e riconteggi durati mesi, assegnarono la città di Tirana a Basha, delfino di Berisha. Tutt’ora permane uno stato di tensione, che accompagnerà i due maggiori partiti alle elezioni parlamentari previste per la primavera del 2013.

Sempre sul tema dei diritti, vale la pena segnalare la strana situazione che vige in alcuni posti del nord del Paese, nella parte montuosa dell’Albania, quella più arretrata e conservatrice, dove il governo Berisha trova i maggiori consensi. Come descritto in un reportage di Ettore Mo per il Corriere della Sera [1], in alcuni paesini di queste zone vige ancora il kanun, un antico codice di leggi non scritte, che prevede tra l’altro di rispondere ad un torto vendicandosi – anche con l’omicidio – sui parenti dell’offensore: tradizione che ha come conseguenza quella di costringere i bambini a rimanere chiusi per anni dentro le case, senza la possibilità di frequentare scuole o vivere una vita come quella dei loro coetanei europei.

Anche l’Italia si è dimentica dell’Albania? L’opinione pubblica molto probabilmente sì, il mondo dell’economia no: Roma è ancora il maggior investitore e partner commerciale del Paese delle Aquile. E negli ultimi anni i flussi economici stanno riguardando il campo dell’energia: in alcuni casi parliamo di fonti rinnovabili, come l’impianto eolico da 500MW – il più grande mai installato in Europa – che sta realizzando il gruppo Moncada; in altri casi invece di non rinnovabili, come l’accordo, stipulato sotto l’egida del governo italiano, che prevede la costruzione di due centrali a carbone da parte dell’Eni. Un aspetto ambiguo riguarda il sempre più crescente flusso di rifiuti, spesso pericolosi, che vengono esportati in Albania per essere lì trattati, con effetti negativi per l’ambiente.

Insomma, l’Albania di oggi vive forti criticità che la rendono – e la renderanno forse ancora per molti anni – distante dall’Europa: corruzione, criminalità, tutela dei diritti e dell’ambiente, ammodernamento e livellamento con le legislazioni europee sono alcune delle complesse sfide che ha ancora di fronte a sé, motivo per cui le prossime elezioni parlamentari saranno cruciali per il futuro del Paese. L’unico Stato che potrebbe aiutare da vicino l’Albania in questo intricato percorso è l’Italia, che ora guarda Tirana solo come un bazar nel quale fare affari, a volte al limite della legalità, non più come un vicino da aiutare nel suo percorso di sviluppo come accadeva un tempo, quando le ripercussioni dei fatti interni dell’Albania suscitavano sentimenti d’interesse da parte dell’opinione pubblica italiana. Fosse caduto qualche anno fa, il centenario del Paese delle Aquile avrebbe avuto le prime pagine dei quotidiani nazionali. Oggi non rimane che l’oblio.

Fonte dell’immagine: Flickr

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Note

[1MO E., I bambini perduti d’Albania murati in casa per sfuggire alle faide, Corriere della Sera, 25 settembre 2011, www.corriere.it/esteri/speciali/2010/ireportage-di-ettoremo/notizie/250911_i_bambini_perduti_dell_albania_9aed3956-e74b-11e0-a00f-4bc86d594420.shtml

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