Afrikastan, ecco come gli europei si stanno impantanando in Mali

, di Ernesto Gallo, Giovanni Biava

Afrikastan, ecco come gli europei si stanno impantanando in Mali

Temiamo che l’Europa abbia trovato il «suo» Afghanistan. In fila sparsa, a guida francese, gli europei si stanno impantanando in Mali, nelle sabbie desertiche dell’Operazione Serval. Per la gioia del resto del mondo, a parte l’Africa, coinvolta in un’ennesima tragedia.

Il peccato originale fu la spedizione in Libia. Gaddafi era un leader eccentrico e brutale, ma la sua Libia aveva raggiunto un sorprendente livello di sviluppo economico e contribuiva alla stabilità regionale, anche attraverso frequenti iniziative concrete per l’unità africana (per esempio, grazie alla fondazione del primo satellite di comunicazione totalmente africano).

Come non fossero bastati gli errori USA nelle «primavere arabe», e senza avere piani chiari per il dopo, Francia e Gran Bretagna si lanciarono nell’eliminazione di Gaddafi, con il risultato di dividere ancora una volta l’Europa. Con l’Unione europea silenziata, la Germania astenuta, l’Italia riluttante, la guerra di Libia portò allo scoperto la nostra inconsistenza (di europei) e l’esistenza di un gran numero di forze, fondamentalisti, sedicenti leader di gruppi etnici, criminali in passato vicini alla CIA, tutti pronti a creare scompiglio nella regione del Sahel e a sud del Sahara.

È a questi signori che dobbiamo il collasso del Mali e la sua incapacità di tenere il campo, fino al lancio televisivo dell’Operazione Serval da parte del presidente francese Hollande (11 gennaio scorso). Qui inizia una seconda ondata di guai. Vediamo in ordine chi ha contribuito di più.

La Francia ha agito da sola, in modo inaccorto e intempestivo. Hollande continua con la velleitaria politica di interventi postcoloniali di cui era giustamente già stato accusato Sarkozy. Tutto questo, tra l’altro, contro un avversario sfuggente ed indecifrabile, e peraltro molto più abituato a combattere in ambienti desertici dalle condizioni spesso proibitive. Il primo effetto dell’operazione è stata non a caso la tragedia degli ostaggi a In Amenas, in Algeria, sulla quale i media occidentali dicono relativamente e ipocritamente poco. Resta anche difficile capire perchè l’Algeria abbia deciso di attaccare da sola. L’Algeria, un importantissimo fornitore di gas e petrolio, è un «nostro» alleato o no? Che partita sta giocando con Parigi e Washington? E che partita hanno giocato tutti questi governi negli anni passati, anche con i fondamentalisti?

Questi ultimi, al di là del proliferare di sigle e di frazioni, hanno in genere in comune un aspetto: negli anni passati sono stati «coltivati» dall’intelligence dei paesi occidentali (in primo luogo la Francia e gli USA), che li avrebbe spesso infiltrati con l’obiettivo di eliminare altri avversari, ottenere vantaggi economici e creare disordine al fine di giustificare interventi futuri. Queste tesi sono state ampiamente documentate dal lavoro di studiosi come Jeremy Keenan della School of Oriental and African Studies di Londra. D’altra parte, già sappiamo come il «nemico» Al-Qaīda sia improvvisamente diventato «amico» nel contesto siriano, dove a due anni dall’inizio della crisi Assad, sostenuto dalla Russia, continua a non mollare. La fine di Gaddafi, oltretutto, ha avuto l’effetto di «liberare» molte di queste forze estremiste che avevano contributo alla caduta dell’ex dittatore libico.

Uno degli aspetti più deprimenti di tutta la vicenda è la totale assenza dell’Unione europea. Dopo aver avallato l’iniziativa neocoloniale francese (e in parte dell’euronemico britannico David Cameron) l’UE si è fatta viva con un piano di training delle forze armate maliane. Bruxelles non ha nemmeno forze armate proprie (cosa che farebbe risparmiare numerosi governi nazionali, tra i quali quello italiano), chissà come formerà quelle altrui. Il comunicato dell’Unione parla inoltre di collaborazione with other international agencies. Dunque l’UE sarebbe nulla più di una international agency. Dov’è la sua consistenza politica? Quali sono le sue posizioni? Dobbiamo abituarci all’idea che l’Unione europea non è un attore politico, se mai lo è stato, almeno nelle intenzioni degli Einaudi, dei Brandt, dei Kohl. Abbiamo invece appreso che il nuovo «mister Euro», in luogo di Juncker, sarà l’olandese Jeroem Dijsselbloem: un personaggio sicuramente rispettabile, ma siamo sicuri che un esperto di economia agraria che ha avuto il primo incarico di rilievo (Ministro delle Finanze dei Paesi Bassi) nel Novembre 2012 sia in grado di traghettare l’Euro nel momento più difficile della sua storia?

D’altra parte la debolezza dell’UE e di quei Paesi che credono di giocare ancora da grandi potenze (Francia e Gran Bretagna) è ben messa in luce proprio dall’intervento in Mali. È vero che quest’ultimo è ricco di risorse, a cominciare dall’uranio, ma perché Hollande non fa la voce grossa in Siria, paese che la Francia ebbe in affidamento come mandato dopo la Prima guerra mondiale? Perché francesi e britannici si tengono lontano da Medio oriente e Asia centrale dove, se intervengono, lo fanno sotto l’ombrello USA o NATO?

Nella vicenda maliana, chi si tiene fuori sa di avere parecchio da guadagnare. Gli USA, che in Africa intendono riguadagnare terreno, hanno mandato avanti Francia e (in parte) Gran Bretagna, che fanno il lavoro sporco, nell’attesa che Washington arrivi poi a raccogliere i benefici. La Cina, che ha investito in Africa una gran quantità di denaro e uomini, osserva con attenzione ma anche con un certo compiacimento. Pechino ha ottime relazioni con i Paesi più strategici (come il Sudan meridionale e la Nigeria ricchi di petrolio) e non ha mai voluto interferire con gli assetti politici o le questioni religiose del continente. Lo stesso vale per la Russia, che ha immediatamente sottolineato la necessità di discutere il problema maliano in sede ONU, ha messo in luce l’ombra statunitense dietro l’intervento francese, e ha anche criticato il comportamento delle truppe maliane – Russia Today ha già parlato di possibili abusi, e Vladimir Putin di collegamenti tra il caos libico e quello a sud del Sahara.

Hollande e Cameron hanno annunciato una guerra che durerà «quanto necessario», anche «decenni». Può anche darsi che il Mali venga riconquistato in fretta, ma poi? Ciò accadde anche con l’Afghanistan dove, a distanza di undici anni, i Taliban sono sul punto di tornare ad avere almeno una fetta di potere. L’Operazione Serval è un goffo tentativo di raccogliere dividendi in uno scenario secondario, con il risultato di dividere l’Europa e delegittimare ulteriormente le sue già deboli istituzioni comuni. Mentre gli USA, la Russia e soprattutto le potenze del Pacifico guardano con gradi diversi di distaccato compiacimento. Se non ci fosse di mezzo una guerra, quest’iniziativa di François Hollande (comprensiva di annuncio televisivo in grande stile l’11 gennaio) sarebbe forse degna dell’irrisione di un coro da antica commedia greca. Il tempo del fez è passato da un po’, ma forse all’Eliseo non lo sanno...

1. Fonte dell’immagine: Flickr

2. L’articolo è stato inizialmente pubblicato su Giovine Europa Now - Linkiesta

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