25 APRILE 2011: LA RESISTENZA NON E’ ANCORA FINITA

, di Franco Spoltore

25 APRILE 2011: LA RESISTENZA NON E' ANCORA FINITA

Se gli europei oggi sono in difficoltà e in svantaggio rispetto agli americani, ai russi, ai cinesi, agli indiani, ai brasiliani, e in generale rispetto alle nuove potenze emergenti, la causa è da imputare alla loro divisione politica.

Una divisione che essi hanno invano cercato di superare dopo la fine della seconda guerra mondiale senza però riuscire a sciogliere il nodo cruciale della creazione di una sovranità europea, ossia di uno Stato e di un governo federali. In questo modo essi hanno mantenuto un sistema formato da ventisette governi separati e da istituzioni europee deboli, prive dell’autorità che deriva dalla legittimazione espressa dal popolo europeo, che impedisce agli europei di affrontare in modo unitario le sfide continentali e globali di fronte alle quali si trovano. In questo senso la Resistenza non è ancora finita: l’obiettivo ultimo della guerra al nazi-fascismo, cioè la realizzazione di un’Europa libera e unita, che ha costituito il punto di riferimento della ricostruzione economica e politica della società, nonché della solidarietà tra i popoli, non è stato ancora raggiunto. Così, con il passare del tempo, in Italia e in Europa si perde la coscienza che la guerra di liberazione dal nazismo e dal fascismo ha rappresentato la grande occasione storica per porre le basi del superamento della dimensione nazionale degli Stati e della politica di potenza nei rapporti internazionali.

La coscienza dell’inadeguatezza degli Stati europei era radicata e profonda nelle generazioni uscite dalla seconda guerra mondiale. Il Presidente della Repubblica italiana Luigi Einaudi, durante il suo mandato, annotava nel suo diario, il primo marzo 1954: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza”. Ma questa coscienza non è bastata agli europei per cogliere l’occasione e portare a compimento l’unità. Nella fase del bipolarismo essi hanno potuto approfittare di un quadro internazionale favorevole al processo di integrazione europea, che ha permesso di dilatarne i tempi. Ma è ormai evidente che questa condizione favorevole si è esaurita, e il cambiamento dell’equilibrio mondiale incomincia a riflettersi sulle scelte e sulle vite degli europei.

La crisi economico-finanziaria e quella nel Mediterraneo, sono emblematiche della situazione che stiamo vivendo. La prima conseguenza riguarda le prospettive di sopravvivenza dell’euro e dell’Eurozona, riassumibili in questo titolo di un recente studio prodotto dalla Fondazione Berterlsmann: “Chi sarà il prossimo? L’Eurozona nella trappola dell’insolvenza”. La seconda conseguenza ha cominciato a manifestarsi in tutta la sua gravità all’indomani del travagliato inizio delle operazioni militari contro Gheddafi, mostrando un mondo senza rotta né timoniere. I fatti sono noti. Per la prima volta dopo la sua creazione l’Alleanza atlantica si trova impegnata in un’azione militare senza che alla guida ci sia la superpotenza da cui la Nato stessa ha avuto origine. Non solo, ma la NATO viene ormai apertamente criticata dall’interno per due motivi opposti. Da un lato la Francia ed il Regno Unito criticano la NATO per la mancanza di risolutezza; dall’altro lato la Germania e la Turchia denunciano le vittime civili causate dai bombardamenti che avvengono sotto la sua protezione. Siamo di fronte ad una situazione grottesca. Come testimonia un commento apparso sul quotidiano El Pais, “una Nato che parla con voci così discordanti e con posizioni così diverse tra loro somiglia moltissimo all’Unione europea. Ma non abbiamo bisogno di un’Alleanza atlantica che si comporti come l’Ue. Ci basta l’originale. Se Bruxelles fosse stata disposta a prendere il controllo delle operazioni, il dibattito si sarebbe chiuso immediatamente. Abbiamo avuto l’occasione di occupare la scena. Quest’ondata di cambiamento sul fianco mediterraneo – che ha bisogno di tutto, dagli aiuti umanitari all’azione militare passando per il sostegno economico e politico alla transizione – era un’opportunità per l’Europa di creare finalmente una politica estera e di difesa comune. Non è successo niente di tutto ciò, e questa gigantesca crisi finirà col lasciarsi alle spalle due cadaveri politici: la Nato, che non tornerà più a essere ciò che era, e l’Unione europea, che non diventerà mai quello che avrebbe dovuto essere” (15-04-11).

Il fatto è che l’Europa non eviterà un destino di declino politico ed economico se nel breve periodo non troverà al suo interno le energie morali e politiche, oltre che finanziarie, per rilanciare il progetto politico della Federzione europea. Un progetto che coinvolga e veda protagonisti innanzitutto quei paesi, come la Francia, la Germania e l’Italia, da cui storicamente è dipeso e continua a dipendere ogni progresso sulla strada dell’unificazione. Un progetto che in ogni caso non avrà alcuna chance di superare le resistenze e gli interessi nazionali senza una larga partecipazione e mobilitazione popolari a favore dell’unità europea, come accadde nelle fasi cruciali del processo di avanzamento dell’integrazione europea nel secolo scorso. Per questo è indispensabile che i partiti politici, le organizzazioni ed i movimenti democratici, sindacali e della società civile si mettano all’opera per costruire uno schieramento di forze che rivendichi l’adozione di soluzioni europee e non nazionali alle sfide di fronte alle quali ci troviamo; che denunci la retorica di grandi piani e politiche che dovrebbero essere europei, ma che sono de facto nazionali in quanto, non potendo contare su strumenti e risorse autonomi europei, rimangono sulla carta; che prema sui governi nazionali e sulle istituzioni europee affinché venga rilanciato il processo costituente federale europeo con la partecipazione democratica dei cittadini.

Nel settembre 1943, sull’Unità europea, che da allora è l’organo del Movimento Federalista europeo, si potevano leggere queste parole: “In una situazione così oscura è ben difficile orientarsi per dare delle parole d’ordine. Ma da mille indizi sembra che gli indugi siano per aver termine… Non è tempo ora per recriminare su quello che avrebbe dovuto esser fatto e per stabilire le responsabilità. Verrà il momento anche per questo. Quel che importa ora è affrontare i tragici eventi che si presentano inevitabili e saper quel che dobbiamo fare. La nostra liberazione è oggi inscindibilmente connessa alla liberazione di tutta l’Europa: guerra al nazismo!”.

Analogamente, oggi, quel che importa è prendere coscienza del fatto che per gli europei non ci sarà un futuro di progresso e di benessere, né tantomeno alcuna possibilità di condividere con gli altri grandi poli continentali della politica mondiale le responsabilità di far fronte alle sfide globali, senza la Federazione europea.

Dipende solo dagli europei farla davvero.

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