2012: disordine internazionale… e l’Europa dov’è?

, di Ernesto Gallo, Giovanni Biava

2012: disordine internazionale… e l'Europa dov'è?

È stato un anno difficile, e i suoi problemi di fondo restano irrisolti. È difficile essere ottimisti quando gli ultimi dati parlano di disoccupazione record in Italia (2.900.000 persone), Grecia e Spagna (ora verso quota 26%). Obama e Xi Jinping sono appena saliti al timone delle due massime potenze mondiali, ma il primo già deve affrontare guai imprevisti, a cominciare dalla perdita di Petraeus. Il Medio Oriente è un mare di instabilità, con la persistente guerra in Siria, la radicalizzazione di Israele, le tendenze autoritarie di Morsi in Egitto e il continuo problema iraniano. La crescita dei BRICS è più lenta, mentre l’area meno caotica sembrerebbe quella ex sovietica, dove l’ascesa della Russia eurasiatica di Putin è però fondata soprattutto su forza e autoritarismo. Proviamo ad affrontare i principali nodi geopolitici ed economici emersi nel 2012, e vedere in quali direzioni si apre il 2013.

La rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca è stata salutata con entusiasmo, ma non si è trattato di una marcia trionfale. Nonostante una serie di gaffe, un passato imprenditoriale a luci ed ombre, e persistenti pregiudizi legati alla sua fede mormone, il repubblicano Mitt Romney ha portato a casa 206 collegi elettorali, un risultato per nulla disprezzabile. La disoccupazione americana è appena inferiore all’8%; appena partito, Obama ha perso il capo della CIA, David Petraeus, un personaggio di prestigio e credibilità, vittima di forze conservatrici che gradirebbero una politica estera più aggressiva e decisionista di quella messa in atto dal primo presidente afroamericano della storia. Quest’ultimo, va detto, ha commesso non poche incertezze e difficilmente riuscirà a proiettare la forza economica e militare USA sul Pacifico senza avere prima risolto i ricorrenti problemi del Medio Oriente.

Sul fronte del Pacifico, Obama avrà a che fare con la nuova leadership cinese, in particolare con il Presidente designato Xi Jinping, che nel recente Congresso ha raccolto nelle sue mani un’insolita concentrazione di potere (è anche presidente della Commissione Militare Centrale). I destini di Cina e USA sono profondamente intrecciati. Pechino è il principale creditore di Washington, ma è anche una potenza militare in ascesa ed un regime autoritario controllato da un solo partito. Il recentissimo coinvolgimento statunitense in Myanmar si somma ad una chiara e provocatoria politica di supporto agli ‘amici degli USA’ tutt’intorno alla Cina, dalla Mongolia alla Thailandia, dalla Corea del Sud e dal Giappone alla stessa India; per tacere del più o meno aperto sostegno alle cause nazionali di Tibet e Uyghuristan. Riusciranno USA e Cina a perseguire una linea di dialogo? O rischiamo di venire trascinati in conflitti potenzialmente pericolosissimi, magari sorti nel Mar Cinese Meridionale o sul problema iraniano?

I rischi non mancano affatto. Secondo il SIPRI (2012), gli USA spenderebbero in armi 711 miliardi di dollari all’anno, circa il 41% della spesa militare mondiale. Con basi in oltre 150 Paesi, gli Stati Uniti dispongono della più grande e tecnologicamente avanzata forza militare mai esistita sulla Terra. Il rischio è che questa macchina imperiale, adeguatamente oliata da politici, generali e intellettuali oltranzisti, oltre che messa in moto da circostanze ‘strutturali’ (declino economico, necessità di aprire nuovi mercati, e soprattutto tensioni sulla disponibilità di risorse energetiche), cominci a vivere di vita propria e a trascinare gli USA ed il mondo in conflitti anche su scala mondiale. Si prenda il Medio Oriente. L’hard power dell’amministrazione Bush è tragicamente collassato in Iraq e Afghanistan; il soft power di quattro anni di Obama, lanciato dal discorso presidenziale al Cairo di giugno 2009 e subappaltato alla Turchia di Erdoğan, sta mostrando i suoi limiti nelle tremende convulsioni seguite alla sfortunata primavera araba. Sapranno i Fratelli Musulmani garantire stabilità e democrazia? Studiosi come Gilles Kepel nutrono forti dubbi, e gli ultimissimi sviluppi in Egitto non lasciano sperare bene. Forse Mohammad Morsi è un Mubarak più ideologizzato? O piuttosto un astuto calcolatore? O forse il vero stratega dei Fratelli è l’enigmatico uomo d’affari, Khairat Al-Shater? Intanto la guerra in Siria continua, a oltre diciotto mesi dall’inizio; l’Iraq si è riavvicinato a Iran e Russia; le monarchie del Golfo e la stessa Giordania sono percorse da venti di protesta; il recente intervento a Gaza ha contribuito ad alimentare nuova ostilità internazionale verso Israele (evidenziata dalla risoluzione che ha appena aperto le porte dell’ONU alla Palestina); e al fondo del baratro si agita lo spettro di una guerra su larga scala in relazione all’Iran.

Proprio l’Iran, collocato tra Medio Oriente ed Asia centrale, simboleggia più di altri Paesi i rischi cui andiamo incontro. Tehran, uno dei massimi produttori mondiali di gas e petrolio (quarto in entrambi i settori, nel 2011), è oggetto dell’ostilità strategica americana e di quella più risentita e radicale di Israele. Al tempo stesso, però, gode del supporto strategico di Russia e Cina, che difficilmente ne tollererebbero un’americanizzazione. Che cosa succederebbe se Israele o gli USA scegliessero l’opzione militare? La marcia di avvicinamento all’Iran si è per ora bloccata in Siria, dove, ben più che Tehran, è stata Mosca a fermare il ripetersi della vicenda libica. In effetti, il 2012 ha registrato un crescente attivismo russo. Forte della (discussa) rielezione, Vladimir Putin ha gettato le basi di un’Unione Eurasiatica, con la Bielorussia ed il Kazakhstan ricco di risorse, ha arginato le forze pro-occidente nelle vicine Georgia ed Ucraina, e ha continuato a ricattare l’Europa costantemente divisa e dipendente dal gas russo. Ecco, infine arriviamo all’Europa.

Qualche anno fa The Economist mise in copertina un’Italia in stampelle, ‘malato d’Europa’; oggi ne potrebbe fare una sull’Europa, ‘malato del mondo’, magari con i volti non proprio ispiratori dei suoi ‘leader’ farraginosi, da Barroso a Van Rompuy. Massacrata dalla speculazione finanziaria internazionale (quella che parte da Wall Street e dalle banche d’affari), ambita come preda da fondi sovrani cinesi o arabi, l’Europa non ha saputo reagire. La Germania rischia di pagare cara la sua malcelata ambizione di ballare da sola nel mondo globale, mentre la Francia di Hollande non ha fatto il botto che alcuni si aspettavano. L’Italia è ancora commissariata, e chiare iniziative per la crescita non sono state prese. Soprattutto però ha colpito l’incapacità dell’Unione stessa, che non ha neppure proposto la creazione di un vero bilancio europeo e di una politica economica unitaria che sola potrebbe dare un supporto all’Euro. Il più ‘europeo’ alla fine è stato un banchiere, Mario Draghi, le cui iniezioni di liquidità tuttavia non potranno servire a molto nel lungo periodo.

E allora dove andiamo, come cittadini dell’Europa e del mondo? Questa volta non ci sentiamo di invocare la saggezza o l’operosità dei cittadini. I cittadini europei – una larga parte di loro – difendono a denti stretti i posti di lavoro attuali e in qualche caso li hanno anche persi, o mai trovati. Hanno spesso problemi più urgenti e pressanti di una sofisticata riflessione sulla cittadinanza europea. Ora tocca ai politici mostrare leadership, indicare la via e creare nuove possibilità. Anche questo fa parte del patto democratico, ed è ciò che altre élite di governo hanno fatto, almeno dall’epoca del New Deal. Cominciamo a ricordarcelo in Italia, in quello che sarà un anno elettorale.

Questo articolo è stato inizialmente pubblicato su iMille

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom