Tutta la violenza che viviamo

, di Arianna Mappelli

Tutta la violenza che viviamo

Al telegiornale, alla radio o su qualsiasi altro mezzo di informazione siamo sempre più esposti a immagini violente e a notizie di cronaca che toccano nel profondo. La spettacolarizzazione della violenza e il dibattito polarizzato che ne deriva contribuiscono a creare un ambiente malsano in cui tali fatti vengono normalizzati.

In televisione, ma ancora di più su internet, le notizie raccontano un Paese in cui le aggressioni sono all’ordine del giorno, e le raccontano in maniera enfatizzata, mettendo in mostra il dolore di chi soffre per provocare compassione e sgomento al fine di ricevere più visibilità.

Una visibilità che si traduce in uno scontro fra le parti, fra chi vede nero e chi bianco, senza sfumature e possibilità di dialogo nel mezzo.

Sarebbe giusto chiedersi se l’impressione che le persone siano molto più irascibili ed aggressive risponda alla realtà o sia solo un riflesso di quello che poche ma ben selezionate situazioni ci fanno credere.

L’altra mattina aspettavo il treno per tornare a casa dall’università quando una signora ha iniziato a urlare marciando avanti e indietro per la banchina. Imprecava contro il personale della stazione per il servizio rallentato, le corse saltate e ore di ritardi. Tirava pugni alle porte degli uffici, con il volto rosso dalla rabbia, aizzando la folla di persone che dalla metro si ammassava in attesa dell’arrivo del treno.

A chi come me è capitato di prendere il trenino di Ostia Lido sarà già successo di essere testimone di spettacoli del genere; ormai è diventata una triste routine che almeno una volta al mese si presenta a noi più frustrante del ritardo stesso. Così è la dura vita dei pendolari… pronti a tutto! Non solo ai ritardi, ma anche agli animi irascibili di chi abbiamo accanto.

Arrivato il treno vagheggiava nell’aria la futile speranza di un viaggio sereno, speranza che si è spenta subito con un nuovo litigio, questa volta tra una ragazza e un’anziana signora che discutevano per i posti a sedere (sebbene fossero entrambe sedute...).

Episodi del genere se ne potrebbero elencare a centinaia: sui mezzi pubblici, al centro commerciale, alle poste e chi più ne ha più ne metta!

Siamo molto più nervosi, pronti a tutto per litigare con il prossimo, sempre lì con l’orecchio allungato a sentire quello che non dovremmo e a intervenire quando sarebbe meglio stare in silenzio. Dov’è quando serve il detto “vivi e lascia vivere”? Perché non riusciamo più a tollerare niente? E non si intende di restare indifferenti, anzi! Ma di saper distinguere ciò che si può e ciò che non si può fare.

Appena il lockdown è finito e si sono liberate quelle case, un po’ gabbia e un po’ rifugio, che nel 2020 erano diventate il nostro piccolo mondo, l’impressione è stata quella di essere gettati in una società a cui eravamo disabituati. Belli gli abbracci in videochiamata, le cene condivise attraverso un cellulare, le canzoni cantate dai balconi… ma adesso tutta questa voglia di stare con gli altri dov’è finita? La brama di socialità che superava qualsiasi barriera, adesso che siamo tornati al mondo, dove si nasconde?

Ora siamo di nuovo magicamente impegnati per le domeniche con i parenti, il Natale è tornato ad essere il veleno di chiunque e cerchiamo qualsiasi scusa per far saltare i programmi e restare chiusi in casa davanti alla tv a vedere chi esce al posto nostro, perché la vita è più digeribile se vista da uno schermo. Così tanto concentrati ognuno sul proprio giardino, che sporchiamo quello vicino, lo critichiamo perché troppo arido o poco curato, perché appariscente o anonimo e lo facciamo in modo prepotente senza badare a chi abbiamo di fronte. Non ci preoccupiamo di ascoltare o comprendere gli altri, non stiamo attenti agli effetti delle nostre parole e ci sentiamo autorizzati a giudicare solo perché una notizia è di dominio pubblico.

A volte dovremmo ricordare che il nostro giudizio è solo nostro, e non è una verità assoluta alla quale tutti devono appellarsi.

Giornali e televisioni, in campo criminale, hanno un impatto molto forte sul modo in cui il pubblico percepisce e interpreta gli eventi. Il loro linguaggio (che spero di trattare in un successivo articolo) si fa sempre più simile a dei racconti stereotipati con protagonisti ed antagonisti, che non sempre corrispondono alla figura di vittima e criminale, ma che servono a suggestionare anche chi è meno propenso ad esserlo.

La quotidianità è satura di violenza, e che sia una litigata con un vicino di casa, un commento di cattivo gusto sui social, un’aggressione o uno stupro, dalla più piccola azione al massimo grado in cui si può manifestare, la televisione continuerà sempre a ricordarci che non siamo al sicuro.

Se è vero che l’essere umano è costituito sia dall’istinto che dalla ragione, evidentemente i due non coesistono in uno stesso animo nel medesimo momento e se anche così fosse l’uno prenderebbe il sopravvento sull’altro. Serve iniziare a pensare prima di agire perché se, come affermò Aristotele, “l’uomo è un animale sociale”, abbiamo bisogno dei nostri simili per vivere.

Se possediamo anche il buon senso, e in qualche sporadico momento riusciamo a trovarlo sveglio, forse è il caso di appellarci a lui, che come si è visto in questi mesi, da solo l’istinto non basta. Se non vogliamo estinguerci a breve, questo sarebbe un ottimo momento per tirarlo fuori dal fondo del cassetto.

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