Le proteste in Bosnia ed Erzegovina

, di Jacopo Barbati

Le proteste in Bosnia ed Erzegovina

Storia contemporanea di un Paese diviso non tanto dalla guerra quanto dalle istituzioni. Internazionali.

Premesse necessarie (di nuovo)

Quando si parla della Bosnia ed Erzegovina, non si possono evitare certe premesse che abbiamo già posto all’attenzione dei lettori in un altro nostro articolo sul “caso Sejdić-Finci”, e che riportiamo anche qui.

L’attuale Costituzione della Bosnia ed Erzegovina è un allegato dell’Accordo di Dayton del 1995, che riconosce la Bosnia ed Erzegovina come nazione libera e indipendente al termine delle guerre jugoslave, al fine di metter pace tra i gruppi dominanti del Paese – bosgnacchi, croati e serbi (fino al censimento jugoslavo del 1991, l’etnia dei cittadini era determinata dalla religione che professavano: i cristiani ortodossi costituivano il gruppo dei “serbi”; i cristiani cattolici erano definiti “croati”; infine era previsto il riconoscimento dei musulmani, o bosgnacchi nel caso dei musulmani in Bosnia ed Erzegovina) – con la costituzione di tre entità territoriali: la Federazione di Bosnia (a maggioranza musulmana) ed Erzegovina (a maggioranza cattolica); la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (a maggioranza ortodossa); il Distretto di Brčko (che gode di autonomia speciale e costante supervisione internazionale).
Oltre all’ordinamento amministrativo, la Costituzione definisce, nel proprio preambolo, due categorie di cittadini: il “popolo costituente” – bosgnacchi, serbi e croati – e tutti gli “altri”. Un ulteriore articolo della Costituzione e la legge elettorale del 1991 vietano a questi ultimi di candidarsi alla Camera dei Popoli della Bosnia ed Erzegovina, composta da 5 bosgnacchi e altrettanti croati e serbi. Analogamente, anche cariche più alte sono precluse agli “altri”: tre Presidenti si suddividono la Presidenza della Repubblica (uno per ognuna delle già elencate etnie), che esercitano a rotazione per 8 mesi a testa, e che nominano un Presidente del Consiglio dei Ministri di etnia diversa dalla propria.

Decisioni forse prese per fare in modo che non esistessero tensioni tra i diversi “gruppi”, puntando quindi sulla divisione piuttosto che sull’integrazione.
Tale aspetto viene spesso ignorato dai commentatori italiani (molti dei quali hanno la proprietà di diventare all’occorrenza degli esperti balcanisti – probabilmente senza conoscere la differenza tra una zeljanica e una krompirača), che continuano a usare più o meno impunemente la sineddoche – indicando con “Bosnia” l’intero Paese. Appare chiaro che così non è.

Un fiume, molti ponti, troppe divisioni

Un caso emblematico, e simbolico, è quello di Mostar, capitale dell’Erzegovina famosa per il suo magnifico ponte di epoca ottomana, lo Stari Most, distrutto nel 1993 e la cui ricostruzione, completata nel 2004, ha attirato attenzione internazionale.
Lo Stari Most è il ponte più famoso di Mostar, ma non l’unico: la città è infatti attraversata dal fiume Narenta, che la divide in due parti, definite dagli autoctoni come “parte sinistra” e “parte destra”.
Questa divisione fisica si è riflessa anche in una divisione sociale, dato che la maggior parte di coloro che vivono e lavorano nella parte sinistra sono di religione musulmana; al di là del fiume la presenza di cattolici è dominante. Ma la città è sempre una; anche se i ragazzi che frequentano gli stessi istituti scolastici vengono divisi per religione/etnia di appartenenza in classi diverse con programmi diversi (studio della geografia della Croazia piuttosto che quella della Bosnia ed Erzegovina per i cattolici) che seguono orari diversi, al fine di evitare contatti; anche se molti giovani, che non ricordano la guerra, affermano di non avere interesse nell’andare “dall’altra parte”; anche se nei matrimoni cattolici sventolano enormi bandiere croate.

E non è certo un problema di Mostar. È così in tutto il Paese. Nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina può capitare di trovare dei cartelli stradali dove le scritte in alfabeto latino sono state nascoste da delle bombolette spray. Così come può capitare di ravvisare un trattamento analogo sulle scritte in alfabeto cirillico, nel resto del Paese e non solo (un simile problema si è verificato anche in Croazia).

Le proteste di febbraio

Ma gli scarabocchi sui cartelli stradali sono solo delle quisquilie.
La conseguenza più grave di tutte è forse rappresentata dall’immobilismo politico generato dal sistema di alternanze: nessun gruppo vuole vedere scemare la propria autorità, pertanto ogni tentativo di riforma viene a lungo ponderato. Ne è una dimostrazione il “caso Sejdić-Finci”, richiamato all’inizio di questo articolo, che sta di fatto bloccando il processo d’adesione della Bosnia ed Erzegovina all’UE. Così come ne è stata una dimostrazione la recente “rivolta dei passeggini”, che nel giugno del 2013 ha visto migliaia di neo-genitori protestare e bloccare la sede del Parlamento a Sarajevo, perché i propri figli erano ancora sprovvisti del Jedinstveni Matićni Broj Građana (il codice fiscale, JMBG – pertanto, chi necessitava di cure all’estero non poteva partire) a causa di un ricorso della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina nei confronti della Federazione di Bosnia ed Erzegovina sull’attribuzione etnica ai neonati.
Del resto, ancora nell’ultimo censimento (2013) veniva chiesto ai cittadini di identificarsi in una delle “etnie” sulla base della religione professata e, addirittura, della lingua parlata (si può parlare per settimane delle vere o presunte differenze tra gli idiomi serbo, croato, bosniaco e montenegrino, ma non è lo scopo di questo articolo).
Quindi è facile capire come le rivolte degli scorsi giorni siano comunque collegate a questa situazione sociopolitica generale. È difficile risolvere la crisi economica, che attanaglia la Bosnia ed Erzegovina così come il resto d’Europa, se ci si deve appellare non a uno, ma a ben tre Governi che non riescono ad accordarsi su questioni come l’estensione dell’elettorato passivo a tutti i cittadini o l’attribuzione del JMBG.
Che poi le proteste di febbraio fossero molto generiche e decontestualizzate (“abbiamo fame!” era il grido) e violente, è sicuramente vero e questo ha dato adito ad alcuni dubbi circa la loro vera origine. Ma è anche sicuramente vero che tra i manifestanti presenziassero molte persone che sono genuinamente e pacatamente preoccupate per il proprio futuro, e che si sono espresse contro i nazionalismi.

L’ipocrisia dell’UE

L’UE ha anche la sue bella fetta di colpe. La propria debolezza, dovuta al fatto di non essere un ente sovranazionale e non uno Stato, ha fatto sì che la sua influenza fosse quasi nulla prima, durante e dopo le guerre jugoslave; al contrario di quanto espresso da alcuni degli Stati membri dell’Unione, che esprimevano il proprio interesse su quanto stava accadendo da quelle parti. Adesso l’UE protesta con la Bosnia ed Erzegovina per il proprio immobilismo politico, che ha portato alle conseguenze trattate finora. Ma tutto questo è frutto dell’Accordo di Dayton, firmato da Slobodan Milošević (in rappresentanza della Serbia), Franjo Tuđman (in rappresentanza della Croazia), Alija Izetbegović (in rappresentanza della Bosnia ed Erzegovina), sotto la mediazione di Stati Uniti d’America, Russia e UNIONE EUROPEA. Quindi, in sostanza, l’UE non accetta una situazione che ha contribuito a creare.
Per il bene della Bosnia ed Erzegovina è fondamentale una riforma costituzionale totale, che preveda l’istituzione di un Governo unico, dato che è dimostrato che il triplo Governo non ha portato ai frutti sperati. Se tale riforma non partirà dalla politica locale, dovrà essere l’UE a promuovere tale iniziativa: in poche parole, non vale a nulla risolvere il “caso Sejdić-Finci” se non si risolve il (grosso) problema che l’ha creato.

Divisi si perisce

Dalla Bosnia ed Erzegovina deve venire un monito per tutta l’UE: è difficile mettere d’accordo molte anime e nessuno può permettersi, di questi tempi, di rimanere fermo. È la dimostrazione che il modello intergovernativo ha dei grossi limiti e può portare a conseguenze anche serie. Se si vuole far progredire l’UE, non basta prevedere una generica “maggiore integrazione politica” basata comunque sul modello intergovernativo: l’unica strada percorribile è quella di un Governo comune legittimato da un Parlamento comune democraticamente eletto. In due parole, la Federazione Europea.

La foto, scattata da Anja Bošković, ritrae il fiume Narenta e la città di Mostar, in lontananza, divisa dal fiume in due parti.

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom