Il 2 giugno e la rivoluzione

, di Federico Brunelli

Il 2 giugno e la rivoluzione

Lunedì 2 giugno, come tanti italiani, ho guardato in televisione la parata delle forze armate italiane. Ho certamente provato un senso di orgoglio e di riconoscenza verso chi ha combattuto per ridarci la libertà. Non solo questo però.

Mi sono anche chiesto:

 se è logico, necessario ed immutabile che per festeggiare una repubblica sfili l’esercito, portatore di armi e simbolo di scontro con lo “straniero nemico”, con altri uomini che non sono degni come noi di vita e di libertà solamente perché nati o residenti in un altro paese;

 che ruolo può avere l’Italia, al di là della retorica, per promuovere la pacifica convivenza tra popoli, obiettivo spesso ripreso negli auspici espressi in occasioni come questa dalla nostra classe politica.

Le mie riposte:

 Questo stato di cose si può cambiare e le persone di buon senso devono avere il coraggio di pensarlo e di dirlo. Kant per primo ha scritto che ogni uomo potrà diventare non più un mezzo nelle mani dello stato, ma un “fine in sé”, e trovare l’ambiente ideale per la piena esplicazione delle sue virtù solamente in una Federazione mondiale, che abbia disarmato gli stati e sottoposto all’imperio del diritto ogni controversia tra persone, tra organizzazioni e tra stati.

 Non basta magnificare e ringraziare i soldati italiani impegnati in missioni all’estero. Qualcuno dei politici italiani dovrebbe ricordare e dire che è fuori luogo rincorrere sogni di una grandeur italiana che nel XXI secolo non può esistere. L’Italia ha avuto un ruolo in questi ultimi sessant’anni quando si è posta all’avanguardia del processo di integrazione europea, e così deve tornare a fare. Questo è il modo per agire efficacemente per il progressivo superamento della divisione del mondo in stati sovrani in lotta armata tra di loro. Se questo processo sarà portato a termine in Europa, riceverà anche una forte accelerazione a livello mondiale, e una riforma dell’ONU in senso democratico non sarà più una chimera.

Queste idee hanno come conseguenza pratica che l’esercito italiano, al pari degli altri 26 eserciti degli stati europei, dovrebbe chiudere baracca, cedendo le sue abilità migliori ad una forza armata europea, posta sotto comando del governo della Federazione europea. Ho quindi immaginato, esagerando un po’, tutte queste persone spogliate delle loro uniformi e della loro attuale occupazione, libere di dedicarsi ad attività più edificanti.

Pazzia? Sì, la stessa pazzia diagnosticata qualche anno fa a qualche visionario federalista da importanti banchieri, che sghignazzavano di fronte a chi diceva che lira e marco sarebbero diventati la stessa moneta, o da ufficiali di dogana che chiedevano ironicamente al visionario che lavoro sarebbero andati a fare qualora le frontiere tra Italia e Austria fossero cadute.

Altiero Spinelli scriveva, negli anni di avvio dell’integrazione europea: “Eppure vinceremo noi!”. Oggi possiamo dire, seppur per traguardi parziali, ma importantissimi: “Eppure abbiamo vinto noi!” E possiamo vincere ancora nel prossimo futuro.

E’ bello poter sognare la rivoluzione, e avere allo stesso tempo un piano per realizzarla, pacifico e supportato dal corso degli eventi storici.

Immagine: Parata militare a Roma. Fonte: Flickr

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